Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento Anno B (13 dicembre 2020)

Giovanni ci insegna l’umiltà

Le letture di questa domenica sono attraversate dal tema della speranza e della consolazione. Ma per noi che siamo credenti cosa significa speranza? Che cosa dice la Bibbia riguardo alla speranza?

A questa nostra domanda risponde il profeta Isaia: «Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio
» (I lettura). Che cosa vuole dire il profeta? Vuole dire che la vera gioia è Dio, perché solo Lui è infinito e il cuore umano è sintonizzato sull’infinito: per questo motivo nessuna cosa o esperienza mondana ci soddisfa pienamente. Ne segue, dunque, che nessuna felicità è duratura se non poggia su Dio; e nessun dolore è insopportabile quando Dio è al centro della vita. Dio, infatti, non è colui che chiede, ma colui che dà.

Bisogna allora capire che il comandamento biblico: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (cf Dt 6,5), non è un comandamento a favore di Dio, ma a favore dell’uomo: non è un comandamento che «chiede», ma è un comandamento che «dona». Infatti l’uomo è chiamato ad amare Dio con tutto il cuore, perché solo così sarà libero, felice, aperto al dono della vita. L’inquietudine, la smania, l’insaziabilità, la tristezza… sono «assenza di Dio» e si curano soltanto accogliendo Dio.

Nella seconda lettura l’apostolo Paolo riprende il tema della speranza e lo sviluppa fino a farlo diventare letizia, pace, gioia nel riconoscere il bene degli altri, attesa fiduciosa del ritorno del Signore. Ma perché san Paolo parla di speranza? Perché egli è l’uomo che ha trovato il contenuto della speranza: «egli ha trovato Cristo» e Cristo è la nostra unica «gioia», «speranza» e «salvezza».

Sarà lui a scrivere: «Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo» (cf Fil 1,23); e ancora: «Da quando ho conosciuto Cristo, il resto è diventato come spazzatura per me» (cf Fil 3,8).

Ebbene, l’apostolo delle genti ci porta a rivedere la nostra posizione davanti alla buona notizia, che è Cristo. E allora domandiamoci: fino a che punto Cristo è la nostra speranza? Fino a che punto noi aspettiamo il Signore? Fino a che punto noi amiamo Dio? Fino a che punto siamo disposti ad aprire la porta del nostro cuore al Signore che bussa?

A queste nostre domande ci viene in aiuto il vangelo. Infatti attraverso la vicenda di Giovanni il Battista, il vangelo ci dice qual è l’atteggiamento che permette di sentire Dio e di riconoscerlo in Cristo.

Giovanni è un uomo mandato da Dio per dare testimonianza a Cristo: esattamente come ciascuno di noi. Giovanni, annota l’evangelista, viene interrogato: «Tu, chi sei?». La vita di ciascuno, infatti, fa nascere interrogativi negli altri. Ma attenti bene: quali sono gli interrogativi che noi suscitiamo con i nostri comportamenti? Che cosa avvertono gli altri di noi? Che cosa percepiscono le persone ascoltando i nostri discorsi e osservando le nostre scelte?

Il Battista risponde: «Io non sono il Cristo»! In questa risposta c’è tutta la grandezza dell’uomo: Giovanni è consapevole di essere un mendicante raggiunto dalla speranza, ma egli non usa la speranza per inorgoglirsi. Giovanni vede la luce, la indica agli altri: «Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce
». Lui «uomo mandato da Dio, venuto come testimone per dare testimonianza alla luce», resta umile per non perdere la luce. Il Battezzatore è forte nella fede, ma nello stesso tempo è umile: egli è forte quando parla di Dio, ma è umile quando parla di se stesso; inoltre egli – «voce di uno che grida nel deserto» – non è geloso della vera «luce» ma è felice di gridare che «colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Facciamo un esame di coscienza e chiediamoci se anche noi siamo felici per il successo dei nostri fratelli o siamo gelosi e invidiosi!

Giovanni, dunque, ci insegna che soltanto l’umile riesce ad accettare Dio nella propria vita e soltanto l’umile riesce a parlare di Cristo senza appannarlo con il proprio orgoglio. Purtroppo la sterilità e l’inefficacia di tanto apostolato nasce dal fatto che noi cerchiamo di condurre le persone a noi e non a Cristo!

Cerchiamo di imitare il Battista il quale, come afferma sant’Agostino: «comprese di non essere altro che una lucerna e temette che potesse essere spenta dal vento della superbia. Per tale motivo si sforzò, chiedendo aiuto all’Onnipotente, di essere e di rimanere umile».

8 dicembre: solennità dell’Immacolata Concezione

Ave, piena di grazia!

Oggi la chiesa ci fa festeggiare la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. Ma che cosa dice la Bibbia riguardo a Maria? Nel libro della Genesi abbiamo ascoltato il racconto del peccato originale. Con questo racconto l’autore intendeva spiegare lo stato d’inclinazione al male in cui ogni uomo si trova, e di cui facciamo esperienza ogni giorno. Noi sappiamo che Dio ci ha creati liberi e, in quanto liberi, tante volte voltiamo le spalle al Creatore. Però, oltre alla disobbedienza di Adamo ed Eva, abbiamo anche ascoltato un particolare molto importante del racconto: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Questo è un chiaro riferimento a Maria santissima, a colei che donerà al mondo Gesù, vincitore del peccato e della morte.

San Paolo nella lettera ai Galati scrive: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (cf Gal 4,4). Che cosa significa? Significa che l’Unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, è disceso dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza facendosi uomo nel grembo di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo. Gesù, dunque, è venuto nel mondo per dirci che il Padre ci ama e ci perdona perché è misericordioso; è venuto a dirci che se noi riconosciamo i nostri peccati, ci pentiamo e ci convertiamo Dio, che è più grande del nostro peccato (cf Papa Francesco, Udienza generale, 30 marzo 2016), non si ricorderà più delle nostre colpe e delle nostre iniquità (cf Eb 10,17) poiché esse diventeranno bianche come la neve (cf Is1,18). E in cambio, che cosa ci chiede? Lo abbiamo udito, nella seconda lettura, da san Paolo: «essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità». Siamo consapevoli che in quanto fragili, da soli non riusciremo mai a realizzare il progetto di Dio. Per questo l’Onnipotente ci ha dato un modello da seguire e imitare: Maria la quale, con il suo «», ha dato il suo assenso al progetto di Dio.

Maria era un’adolescente fra tante altre che viveva a Nazareth, paesino sperduto della Galilea, mai ricordato nella Bibbia prima dell’Annunciazione. A Nazareth, in una casa per metà scavata in una roccia, un’umile fanciulla vive, come le sue coetanee, la sua vita quotidiana di lavoro, fatica, ma anche di fede e di attesa.

Maria, come ogni pia ebrea, conosceva la storia del suo popolo. Conosceva le promesse fatte da Dio ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Mosè, a Davide… Maria conosceva il libro di Isaia ed il famoso oracolo: «La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (cf Is 7,14). Conosceva le profezie della consolazione (sempre nel libro di Isaia) nelle quali si dice: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (cf Is 11,1).

Ma dove e quando si compirà la profezia? E in particolar modo chi sarà la prescelta?

Nel vangelo abbiamo ascoltato che «l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria». L’angelo, annota Luca, si rivolge a Maria chiamandola non per nome ma «piena di grazia» ed ella, anche se in un primo momento, nell’udire queste parole «fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo», pur rimanendo libera e nel buio della fede risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». Fu certamente un momento stupendo! Ma non fu semplice!

Pensiamo quando giunge l’ora della croce. Pietro ha rinnegato il Maestro, Giuda ha tradito, tutti gli altri sono fuggiti… Resta solo Giovanni e una donna: «Gesù allora, vedendo la madre che stava presso la croce e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”» (cf Gv 19,26). In quel momento doloroso che cosa disse Maria? Forse rivide la scena dell’Annunciazione, ricordò le tappe di una maternità che conobbe la stalla, le paure, la fuga, il nascondimento, l’incomprensione e sicuramente, in cuor suo, avrà detto: «sia fatta la tua volontà, avvenga secondo la tua parola». Possiamo dire, dunque, che l’Annunciazione e la Croce formano un solo momento.

Per questa fedeltà, per questo eroismo Maria ha il diritto di essere Madre dei credenti. Maria è veramente la «figlia di Sion» e appare esemplare per tutti noi. Origene, commentando il brano dell’Annunciazione, esclama: «A che mi giova confessare il Cristo che viene nella carne, se non viene nella mia carne?». Ciò significa che come Dio si è fatto carne in Maria così deve diventare presenza in noi, ovvero, se noi accogliamo il seme della Parola di Dio in noi attraverso l’ascolto obbediente come ha fatto Maria, se noi come lei sappiamo vivere l’attesa di Dio, allora la nostra vita, di per sé sterile, si riempie della presenza di Cristo.

Ebbene, la festa di oggi ci invita a guardare Maria, Madre di Gesù, colei che, come disse il beato Pio IX nel 1854 «è stata preservata da ogni macchia di peccato». Il suo celeste candore ci attiri verso Dio, aiutandoci a superare la tentazione di una vita mediocre, fatta di compromessi con il male, per orientarci decisamente verso l’autentico bene, Cristo Risorto, che è sorgente di gioia e di salvezza.

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