Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario Anno A (11 ottobre 2020)

Accettiamo il dono di Dio

Nella parabola di oggi Gesù evoca il banchetto del Regno (cf Is 25, 6-10; Mt 8, 11-12) e il giudizio finale.

Nella prima parte della parabola Gesù paragona il Regno alla vicenda di un re che, in occasione delle nozze del figlio, manda i suoi servi a chiamare gli invitati. Egli ha imbandito un banchetto di cibi prelibati e chiede agli invitati solo di accettare il suo dono, di condividere con lui la gioia. Eppure, come già nella parabola dei vignaioli omicidi (cf Mt 21, 33-45), la reazione è sorprendentemente negativa: alcuni, con indifferenza e superficialità, non si curano della chiamata; altri addirittura insultano e uccidono i servi. Sembra incredibile ciò che Gesù descrive nella parabola: è possibile rifiutare l’invito di Dio, è possibile chiudersi nell’orgoglio e diventare prigionieri della solitudine e dell’infelicità. Le parole di Gesù hanno un riferimento immediato all’atteggiamento del popolo d’Israele: questo popolo, infatti, era stato preparato da Dio per l’ora del Messia, ma quando giunse l’ora del Messia pochi lo accolsero e molti lo rifiutarono. Gesù soffrì immensamente per questo atteggiamento e un giorno arrivò addirittura a piangere: «alla vista della città pianse su di essa dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi”» (cf Lc 19, 41-42). È il mistero della libertà umana che può diventare peccato, può diventare rifiuto di Dio! Ma Dio, con accenti accorati e insistenti, ci avvisa sul rischio del nostro no: perdere Dio vuol dire perdere la festa (l’unica vera festa) e dunque rifiutare il banchetto della gioia.

Eppure spesso ci affanniamo nella ricerca di cose inutili e passeggere, mentre trascuriamo l’unica cosa necessaria, che è questa: aprire umilmente il cuore a Dio, affinché egli possa invaderlo con un fiume di gioia. A tal proposito pensiamo all’esplosione di gioia uscita dal cuore di un uomo che, dopo un lungo girovagare fuori dalla sala del banchetto, decide di entrare e resta incantato davanti alla gioia sconfinata che Dio regala a chi gli apre il cuore: «Tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Mi tenevano lontano da Te quelle creature che, se non fossero in Te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo e io l’ho respirato e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame di te e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace» (S. Agostino).

Gesù, inoltre, fa uso di un linguaggio apocalittico, di immagini «minacciose» – «si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città» – che non vogliono incutere paura, ma solo mettere in chiaro le esigenze richieste a chi vuole entrare nel Regno, che in realtà si riducono a una sola: accettare il dono di Dio, pena il misero fallimento della propria vita.

A questo punto la narrazione conosce una sorta di nuovo inizio. Il re invia altri servi a chiamare al banchetto tutti coloro che si trovano ai crocicchi delle strade: «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». L’evangelista Luca, rispetto a Matteo, aggiunge un particolare significativo: vengono condotti al banchetto, gli storpi, i ciechi, gli zoppi. Ciò significa che i piccoli, i semplici, i diseredati, i poveri, gli umili accolgono con più fervore la salvezza di Dio: infatti chi pensa di avere tutto corre il rischio di non apprezzare nessun dono, neppure il «dono di Dio»!

È così che va compresa la conclusione della parabola, connessa a un’usanza tradizionale al tempo di Gesù: all’ingresso del banchetto nuziale i commensali ricevevano in dono una veste bianca, segno del comune invito ricevuto dal padrone di casa. Quando il re, annota l’evangelista, entra per salutare i presenti, ne scorge uno privo dell’abito nuziale. Come è stato possibile? Quest’uomo ha accettato l’invito ma, fino all’ultimo, ha orgogliosamente rifiutato il dono, ha preteso di contare sulle proprie forze; e così, invece di rispondere con gioia al «dono di Dio» resta muto: «ammutolì».

«Molti sono chiamati, ma pochi eletti», conclude Gesù. È una parola che costituisce un monito esigente per ciascuno di noi. Tutti gli esseri umani sono chiamati alla salvezza, al banchetto festoso del Regno, ma nessuno è garantito, neppure dall’appartenenza alla chiesa.

Chiediamo con insistenza per noi e per tutti la grazia di «non rifiutare il banchetto della vita eterna e di entrarvi con l’abito nuziale».

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