Commento al Vangelo della II Domenica di Pasqua Anno B (7 aprile 2024)

Mio Signore e mio Dio!

Nel Vangelo della veglia pasquale abbiamo ascoltato l’evangelista Marco, il quale scrive che «passato il sabato, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome compararono oli aromatici per andarlo a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole». Giunte al sepolcro, annota Marco, «osservarono che la pietra era stata fatta rotolare. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”» (cf Mc 16,1-2.4-6).

Non è difficile immaginare quali fossero, in quel momento, i sentimenti di queste donne: sentimenti di tristezza e sgomento per la morte del loro Signore, sentimenti di incredulità e stupore per un fatto troppo sorprendente per essere vero. La tomba però era aperta e vuota: il corpo non c’era più. Pietro e Giovanni, avvertiti dalle donne, corsero al sepolcro e verificarono che esse avevano ragione. La fede degli Apostoli in Gesù, l’atteso Messia, era stata messa a durissima prova dallo scandalo della croce. Durante il suo arresto, la sua condanna e la sua morte si erano dispersi, ed ora si ritrovavano insieme, perplessi e disorientati. Ma il Risorto stesso venne incontro alla loro incredula sete di certezze. Non fu sogno, né illusione o immaginazione soggettiva quell’incontro; fu un’esperienza vera, anche se inattesa e proprio per questo particolarmente toccante. L’evangelista Giovanni, infatti, scrive che «la sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”».

A quelle parole, la fede quasi spenta nei loro animi si riaccese. Gli Apostoli riferirono a Tommaso, assente in quel primo incontro straordinario: «Abbiamo visto il Signore!». Tommaso però rimase dubbioso e perplesso tanto da rispondere ai suoi compagni: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Quando Gesù venne una seconda volta, otto giorni dopo nel Cenacolo, gli disse: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». La risposta dell’Apostolo è una commovente professione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». E Gesù, annota l’evangelista, gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Rinnoviamo anche noi la professione di fede di Tommaso. L’odierna umanità attende dai cristiani una rinnovata testimonianza della risurrezione di Cristo; ha bisogno di incontrarlo e di poterlo conoscere come vero Dio e vero Uomo. Se in questo Apostolo possiamo riscontrare i dubbi e le incertezze di tanti cristiani di oggi, le paure e le delusioni di innumerevoli nostri contemporanei, con lui possiamo anche riscoprire con convinzione rinnovata la fede in Cristo morto e risorto per noi. Questa fede, tramandata nel corso dei secoli dai successori degli Apostoli, continua, perché il Signore risorto non muore più. Egli vive nella Chiesa e la guida saldamente verso il compimento del suo eterno disegno di salvezza.

Ciascuno di noi può essere tentato dall’incredulità di Tommaso. Il dolore, il male, le ingiustizie, la morte, specialmente quando colpiscono gli innocenti – ad esempio, i bambini vittime della guerra e del terrorismo, delle malattie e della fame – non mettono forse a dura prova la nostra fede? Eppure, paradossalmente, proprio in questi casi, l’incredulità di Tommaso ci è utile e preziosa, perché ci aiuta a purificare ogni falsa concezione di Dio e ci conduce a scoprirne il volto autentico: il volto di un Dio che, in Cristo, si è caricato delle piaghe dell’umanità ferita. Tommaso ha ricevuto dal Signore e, a sua volta, ha trasmesso alla Chiesa il dono di una fede provata dalla passione e morte di Gesù e confermata dall’incontro con Lui risorto. Una fede che era quasi morta ed è rinata grazie al contatto con le piaghe di Cristo, con le ferite che il Risorto non ha nascosto, ma ha mostrato e continua a indicarci nelle pene e nelle sofferenze di ogni essere umano.

«Dalle sue piaghe siete stati guariti» (cf 1Pt 2,24), è questo l’annuncio che Pietro rivolgeva ai primi convertiti. Quelle piaghe, che per Tommaso erano dapprima un ostacolo alla fede, perché segni dell’apparente fallimento di Gesù; quelle stesse piaghe sono diventate, nell’incontro con il Risorto, prove di un amore vittorioso. Queste piaghe che Cristo ha contratto per amore nostro ci aiutano a capire chi è Dio e a ripetere anche noi: “Mio Signore e mio Dio”. Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede. 

Quante ferite, quanto dolore nel mondo! Non mancano calamità naturali e tragedie umane che provocano innumerevoli vittime e ingenti danni materiali. Pensiamo ai terremoti, al flagello della fame, alle malattie incurabili, al terrorismo e ai sequestri di persona, ai mille volti della violenza – talora giustificata in nome della religione – al disprezzo della vita e alla violazione dei diritti umani, allo sfruttamento della persona. Pensiamo anche alla guerra. Quanta sofferenza e quante persone soffrono e muoiono innocentemente. Davvero, come spesso ha detto papa Francesco, stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi. Il mondo ha bisogno di riconciliazione e di pace!

Attraverso le piaghe di Cristo risorto possiamo vedere questi mali che affliggono l’umanità con occhi di speranza. Risorgendo, infatti, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice con la sovrabbondanza della sua Grazia. Alla prepotenza del Male ha opposto l’onnipotenza del suo Amore. Ci ha lasciato come via alla pace e alla gioia l’Amore che non teme la morte. «Come io ho amato voi – ha detto agli Apostoli prima di morire -, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (cf Gv 13,34).

Cristo risorto è vivo tra noi, è Lui la speranza di un futuro migliore. Mentre con Tommaso diciamo: «Mio Signore e mio Dio!», risuoni nel nostro cuore la parola dolce ma impegnativa del Signore: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (cf Gv 12,26). Ed anche noi, uniti a Lui, disposti a spendere la vita per i nostri fratelli (cf 1Gv 3,16), diventiamo apostoli di pace, messaggeri di una gioia che non teme il dolore, la gioia della Risurrezione. Ci ottenga questo dono pasquale Maria, Madre di Cristo risorto. Amen!

 

Commemorazione dei fedeli defunti Anno A – III Messa (2 novembre 2023)

Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio!

In questo giorno la Chiesa dirige i nostri pensieri e le nostre preghiere, in modo particolare, verso la «vita eterna». Dopo la solennità di tutti i Santi, oggi, giorno dedicato alla memoria dei defunti, noi desideriamo innanzitutto ricordare quanti, tra i nostri cari, hanno lasciato questa vita. Nel ricordarli, siamo chiamati a riflettere che l’esistenza umana non si risolve tutta dentro l’orizzonte terreno. Siamo invitati a considerare la vita alla luce del fine ultimo, del destino che ci attende dopo la morte, con lo sguardo rivolto alla nostra vocazione eterna.

Ebbene, alla luce della liturgia, che celebra il sacrificio di Cristo, siamo portati a riflettere oggi sul significato della morte. Da una parte, troviamo una riflessione realistica circa la precarietà della vita terrena, votata alla sconfitta; dall’altra il mistero eucaristico proclama che la morte di Cristo si è risolta nella risurrezione, evento decisivo per l’esistenza di ogni uomo.

Di fronte al ricordo dei nostri defunti noi siamo tristi perché siamo costretti a riconoscere con dolore che questo nostro corpo passa: i progetti, che noi costruiamo ogni giorno confidando nella salute, nella forza, nelle doti di cui disponiamo, sono provvisori, sono destinati a spegnersi. Ma, se accettiamo il messaggio che scaturisce dalla parola di Dio, or ora ascoltata, apprendiamo che morire non significa cadere nel nulla, nell’ombra buia della fine totale. Piuttosto significa passare a una nuova condizione di vita che è gloria e beatitudine eterna. La fede illumina il mistero della morte con confortanti certezze.

Oggi noi, col libro della Sapienza, professiamo che «le anime dei giusti sono nelle mani di Dio» perché Dio ha creato l’uomo per l’immortalità (cf Sap 2,23), cioè per la partecipazione a una vita senza fine. Coloro che per le loro opere buone hanno creduto e meritato il premio annunciato dalle promesse vivono nelle mani di Dio e nella pace. Noi, confidando nella parola rivelata, proclamiamo di fronte al mondo che le anime dei giusti dimorano presso Dio nell’amore, poiché egli nella sua sollecitudine non abbandona i suoi né li priva della sua protezione.

Agli occhi del mondo e in una prospettiva esclusivamente terrena «parve che morissero», ma la morte fisica è per i credenti solo un passaggio da un’esistenza di dolori e di prove alla vita piena e duratura nella felicità di Dio; non più un castigo, ma una liberazione dai molteplici mali, indotti nella vita umana dal peccato. I nostri morti sono nella pace, cioè nel godimento completo dei doni profetizzati, nella salvezza delle realtà finali, ultime ed eterne. Essi sono stati coinvolti nel destino del Cristo Risorto, il quale ha raccolto la loro vita di quaggiù per condurla nella sua gloria. Come scintille infuocate, le anime dei giusti splendono per l’eternità, in virtù della vittoria finale che Cristo glorioso ha operato sulla morte.

Il nostro sguardo sull’eternità è poi ancora confortato dalla luce del mistero della comunione dei Santi. Abbiamo ereditato dalle più antiche comunità cristiane la certezza che esiste una partecipazione intensa di vita tra noi e i fratelli che sono nella gloria celeste o che ancora dopo la morte stanno purificandosi (cf. Lumen Gentium, 49). Noi formiamo un’unica realtà soprannaturale, un unico corpo con coloro che ci hanno preceduto nella vita eterna: il corpo mistico di Gesù Cristo. Siamo perciò uniti, mediante Gesù, a quelli che sono entrati nella visione di Dio. Ma essi non ci hanno lasciati. Con loro formiamo una comunità, che si perfeziona nella preghiera e che l’offerta del sacrificio eucaristico realizza in modo eminente. L’amore che verso i nostri morti noi continuiamo a nutrire si esprime nell’orazione e in una singolare partecipazione di grazia, mentre siamo mossi dalla pietà a chiedere la loro intercessione ricordando i loro esempi di vita cristiana. Nella preghiera comune della Chiesa, che rivolgiamo a Dio uniti ai nostri defunti, noi possiamo pregustare quella liturgia della gloria eterna, verso la quale tutti camminiamo sorretti dalla speranza. Invochiamo anche noi, perciò, con il salmo responsoriale, la luce della verità che sostiene la speranza: «Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora». Il tempo che fugge inesorabile e sospinge senza sosta tutti noi e le nostre cose verso la meta della morte sia illuminato dalla sublime luce e dalle esaltanti promesse della parola di Dio: questa ci sprona a non fermare i nostri passi su questa terra segnata dalle lacrime, ma a procedere verso la confortante meta del monte di Dio, il luogo in cui egli rivelerà a noi il suo volto, il monte dove egli abita, il paradiso. Chiediamo al Signore che ci renda degni della sua chiamata e ci faccia testimoni di queste verità, così che «sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù» (cf 2Ts 1,11-12) da tutti coloro che crederanno per la nostra testimonianza.

Maria, colei che è stata redenta in modo privilegiato, è il segno dell’inizio del progetto di Dio di fare nuova ogni cosa. E noi ci rivolgiamo a te, Vergine Santa. In te inizia il mistero della Redenzione che ci libera dalla morte, perché l’eredità del peccato non ti ha raggiunta. Tu sei piena di grazia, e in te si apre per noi il regno di Dio, il nuovo avvenire dell’uomo, che può, nella fede, contemplare in te l’opera del suo rinnovamento e il fondamento della sua speranza d’immortalità. Tu porti a noi, nella tua purezza, il Figlio di Dio, la “luce venuta nel mondo”, e conduci tutti noi sulle vie della santità perché possiamo incontrare Cristo, ora e per sempre. Noi t’invochiamo, guidaci lungo il nostro cammino, Vergine Santa, affinché operando la verità veniamo alla luce del tuo Figlio, cerchiamo la grazia della sua parola, percorriamo fedelmente la via che conduce al monte di Dio, al porto soave dove sono giunti i nostri cari e dove, con Gesù, tu ci attendi. Amen!

 

Commento al Vangelo della XIX Domenica del Tempo Ordinario Anno A (13 agosto 2023)

Abbiamo fede in Gesù?

La pagina del Vangelo descrive l’episodio di Gesù che, dopo aver pregato tutta la notte sulla riva del lago di Galilea, si dirige verso la barca dei suoi discepoli, camminando sulle acque. La barca si trova in mezzo al lago, bloccata da un forte vento contrario. Quando vedono Gesù venire camminando sulle acque, i discepoli lo scambiano per un fantasma e si spaventano. Ma Lui li rassicura: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro, col suo tipico impeto, gli dice: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»;e Gesù gli dice:«Vieni!». Pietro scende dalla barca e si mette a camminare sull’acqua verso Gesù; ma a causa del vento si agita e comincia ad affondare. Allora grida: «Signore, salvami!», e Gesù gli tende la mano e lo afferra.

Questo racconto del Vangelo contiene un ricco simbolismo e ci fa riflettere sulla nostra fede, sia come singoli, sia come comunità ecclesiale. Come è la fede in ognuno di noi e la fede della nostra comunità? Avere fede vuol dire, in mezzo alla tempesta, tenere il cuore rivolto a Dio, al suo amore, alla sua tenerezza di Padre. Gesù questo voleva insegnare a Pietro e ai suoi discepoli, e anche a noi oggi. Nei momenti bui e di tristezza, Egli sa bene che la nostra fede è povera – siamo gente di poca fede – e che il nostro cammino può essere travagliato, bloccato da forze avverse. Il vento contrario rappresenta, appunto, le difficoltà e le prove.

Ebbene, il Vangelo di oggi è un invito ad abbandonarci con fiducia a Dio in ogni momento della nostra vita, specialmente nel momento della prova e del turbamento. Quando sentiamo forte il dubbio e avvertiamo la paura tanto che ci sembra di affondare, nei momenti difficili della vita, dove tutto diventa buio, non dobbiamo vergognarci di gridare, come Pietro: «Signore, salvami!», «Signore, comandami di venire verso di te!». Dobbiamo bussare al cuore di Dio, che è come un tenero Padre che mai ci abbandona. Egli ci porge la mano e, soltanto se noi prendiamo la mano del Signore, se ci lasciamo guidare da Lui, la nostra sarà una strada giusta e buona.

A Pietro non è bastata la parola sicura di Gesù: «Vieni!», che era come la corda tesa a cui aggrapparsi per affrontare le acque ostili e turbolente. Anche noi, quando non ci si aggrappiamo alla parola del Signore, iniziamo a consultare oroscopi e cartomanti per avere più sicurezza. Ed è allora che cominciamo ad affondare. L’episodio narrato dall’evangelista Matteo ci ricorda che la fede nel Signore e nella sua Parola non ci apre un cammino dove tutto è facile e tranquillo; non ci sottrae alle tempeste della vita. La fede ci dà la sicurezza di una Presenza, la presenza di Gesù che ci spinge a superare le bufere esistenziali, la certezza di Gesù che ci aiuta ad affrontare le difficoltà, indicandoci la strada anche quando è buio. La fede, dunque, non è una scappatoia dai problemi della vita. La fede è avere fiducia in Dio che sempre ci sostiene nel nostro cammino. Solo se noi abbiamo fede in Dio la nostra vita ha un senso.

Questo episodio, inoltre, è un’immagine stupenda della realtà della Chiesa di tutti i tempi: una barca in balia di una tempesta, che in ogni epoca incontra venti contrari, a volte anche prove molto dure: pensiamo a certe lunghe e accanite persecuzioni del secolo scorso, anche oggi, in alcune parti del globo terrestre. In quei frangenti si può avere la tentazione di pensare che Dio l’abbia abbandonata. Ma in realtà è proprio in quei momenti che risplende maggiormente la testimonianza della fede. Ciò che salva la barca, dunque, non sono il coraggio e le qualità dei suoi uomini: la garanzia contro il naufragio è la fede in Cristo, nostro unico Salvatore. Questa è la garanzia: la fede in Gesù! Su questa barca siamo al sicuro, nonostante le nostre miserie e debolezze, soprattutto quando ci mettiamo in ginocchio e adoriamo il Signore, come i discepoli che, alla fine, scrive l’evangelista Matteo: «si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Davvero tu sei il Figlio di Dio!”». Che bello dire a Gesù questa parola: “Davvero tu sei il Figlio di Dio!”. Durante la giornata ripetiamo spesso questa esclamazione: “Davvero tu sei il Figlio di Dio!”.

La Vergine Maria ci aiuti a perseverare e ad essere ben saldi nella fede soprattutto quando il buio e le tempeste della vita mettono in crisi la nostra fiducia in Dio e, in particolar modo, ci aiuti a rimanere sulla barca della Chiesa rifuggendo la tentazione di salire sui battelli ammalianti ma insicuri delle ideologie, delle mode e degli slogan. Amen!

 

 

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