Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario Anno C (4 settembre 2022)

Il vero discepolo!

L’evangelista Luca annota che «una folla numerosa andava con Gesù». Anche oggi sono molti coloro che camminano dietro a Cristo Signore. Però, con quale cuore si segue Gesù? Con il cuore di Pietro o con quello di Giuda? Con il cuore di Tommaso o con quello di Giovanni? È importante chiarire cosa significa seguire Cristo. La risposta la da’ Gesù stesso quando voltandosi disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Queste parole di Gesù sono forti e ci fanno paura. Come si fa a mettere Cristo prima del padre e della madre, prima dei figli, prima di se stessi, prima di tutto? Cristo non chiede troppo?

Noi siamo consapevoli che per il cristiano il legame d’amore con Gesù, Parola di Dio fatta carne, deve avere l’assoluta precedenza su ogni altro vincolo, anche di sangue: è Cristo che il vero discepolo deve amare con tutto il cuore, la mente e le forze. Attenzione, però, non si tratta di una richiesta totalitaria: non bisogna amare lui soltanto, ma lui più degli altri nostri amori; bisogna amare, come lui ha amato (cf Gv 13, 34; 15,12), tutte le altre persone, senza alcuna distinzione.

Noi siamo tentati costantemente di preservare la nostra vita a ogni costo, di lasciar prevalere quella terribile pulsione dell’egoismo che ci spinge a vivere, molte volte, non solo come se gli altri non esistessero, ma anche come se Gesù Cristo non ci fosse. Ebbene, il cristiano, il vero discepolo, deve comprendere che la propria esistenza trova senso solo se lascia vivere Cristo in sé (cf Gal 2, 20), al punto che per lui dovremmo essere pronti anche a dare la nostra vita. Ricordiamoci che Gesù ha detto: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (cf Lc 9, 24). Se davvero vogliamo essere discepoli di Cristo, impariamo a portare la nostra croce ogni giorno: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».

Per chi vive in questo modo risulta quasi naturale rinunciare anche ai propri beni, mettendo in pratica il monito di Gesù: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». Ciò significa che i nostri averi dobbiamo saperli usare a servizio dei fratelli, di saperli condividere con gioia, senza lasciarci rendere schiavi dalla malattia del possesso e dell’avarizia. Se Gesù è davvero il tesoro della nostra vita (cf Lc 12, 34), come potremo essere ancora preda dello stupido inganno della «seduzione della ricchezza» (cf Mt 13, 22) fino a smarrire il nostro cuore dietro ad essa?

La seconda lettura è una testimonianza sulla verità di questo vangelo. È tratta da una brevissima lettera scritta da san Paolo a Filèmone. In questa epistola si parla di Onesimo, schiavo fuggito da Colossi ad Efeso, forse finito in prigione, il quale incontra Paolo e si fa battezzare. Costui vorrebbe tornare dal suo padrone ma non ha il coraggio. Così Paolo scrive questo stupendo biglietto di raccomandazione al suo amico e discepolo Filèmone, perché lo accolga come fratello. Queste parole calde, umane, scritte dall’apostolo delle genti, ci ricordano che seguire Cristo significa fare come lui ha fatto: amare, perdonare!

Chiediamo al Signore affinché ci aiuti a essere dei veri discepoli, perseveranti fino alla morte, capaci di mettere Gesù Cristo al primo posto e amare veramente il prossimo come noi stessi.

Il topolino e la trappola

Attraverso il buchino del muro il topolino guardava il contadino e la moglie che stavano aprendo un pacchetto. “Che cibo ci sarà?” – si chiedeva il topolino che rimase sconvolto nel vedere che era una trappola per topi.
Il topolino fece il giro della fattoria avvisando tutti: – “C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!” Il pollo alzò la testa e disse: “Signor Topo, capisco che è una cosa grave per te, ma non mi riguarda. Non mi preoccupa affatto.” Il topolino andò dal maiale dicendogli, “C’è la trappola per topi in casa! C’è la trappola per topi in casa!” Il maiale con empatia disse: -“mi dispiace molto, Signor Topo, ma non c’è nulla che io possa fare, eccetto pregare. Ti assicuro che sarai fra le mie preghiere.” Il topolino allora andò dalla mucca: -“C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!” La mucca disse, “Ohh.. Sig. Topo, mi dispiace per te ma a me non disturba.” Quindi, il topolino tornò in casa, con la testa bassa, molto scoraggiato, per affrontare da solo la fatidica trappola. Durante la notte sentirono uno strano rumore che echeggiò per la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda. La moglie del contadino si alzò subito per vedere cosa avrebbe trovato nella trappola. Nel buio, non vide che era un serpente velenoso con la coda bloccata nella trappola. Il serpente morsicò la moglie del contadino che dovette portarla d’urgenza all’ospedale, con la febbre alta. Come molti sanno, nella cultura contadina, la febbre si cura con una zuppa di pollo fresco, quindi il contadino con il suo coltellone uscì nel pollaio per rifornirsi con l’ingrediente principale della zuppa. La malattia della moglie però non passava e così tanti amici vennero a trovarla per starle vicino. La casa era piena e per nutrire tutti, il contadino dovette macellare il maiale. Ben presto la moglie morì e tanta gente venne al suo funerale tanto che il contadino dovette macellare la mucca per offrire il pranzo a tutti. Il topolino dal buchino del muro guardò il tutto con grande tristezza.

MORALE: La prossima volta che sentite che qualcuno sta affrontando un qualche problema e pensate che non vi riguardi, ricordate che quando uno di noi viene colpito, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita.
Prendersi cura gli uni degli altri è un modo per incoraggiarci e sostenerci a vicenda. “Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te”. Siamo tutti nella stessa barca. (Ernest Hemingway)

Ama i tuoi cari…

Era ancora mattina, Maria ha sentito qualcuno entrare in casa e con sua sorpresa era suo marito. Lei non lo aspettava perché sapeva di essere in viaggio in Svizzera con il suo camion.
E anche perché avevano litigato…

  • “E la tua roba?”. Domanda lei.
  • “Non l’ho portata, sono venuto solo per parlare con te”. Rispose lui.

Maria rimase sorpresa visto che aveva litigato con suo marito ed erano trascorsi già diversi giorni durante i quali non avevano parlato.

  • “Di cosa vuoi parlare?”. Chiede lei.
  • “Sono solo venuto a dirti che anche se abbiamo avuto le nostre incomprensioni e differenze di carattere, ti amo e, in questi giorni di litigio, ho desiderato parlarti un migliaio di volte ma il mio orgoglio è stato più forte e non me lo ha permesso.
    Vorrei che mi perdonassi”. Ripose lui.

La moglie, sorpresa, ma anche felice, le accarezzò la mano e disse:

  • “Ti amo anch’io, e voglio che tu sappia che il mio amore per te è troppo grande ma ho lasciato che rabbia e orgoglio fossero una priorità”.

Il marito, dopo questo gesto di affetto e queste parole così belle, disse:

“Tu e i nostri figli siete le cose più importanti che ho”. E le diede un bacio sulla fronte dicendo:

“Sarò sempre con te, qualunque cosa accada. Ora vado a farmi una doccia e poi devo andare, ma questa volta il viaggio sarà un pò più lungo”…

Mentre lei sentiva il rumore dell’acqua della doccia, squillò il telefono…

  • “Buongiorno, sto cercando la signora Maria”.
  • “Sì, sta parlando con me, cosa posso fare per lei?”.
  • “Signora, la sto chiamando per informarla che suo marito ha avuto un grave incidente ed è morto”.
  • “Ci dev’essere stato un errore, mio marito è a casa, è appena andato a farsi una doccia perché deve mettersi in viaggio”.
  • “Signora, ci dispiace per il suo dolore, ma non c’è alcun errore, è davvero suo marito”.

Lei corse in bagno e cercò in ogni angolo della casa e non lo trovò. Un silenzio invase la sua anima e un brivido percorse il suo corpo e poi si rese conto che lui era venuto a salutarla per l’ultima volta e che non sarebbe più tornato.

MORALE: Non uscire mai di casa arrabbiato e rivolgi la parola a chi ami perché potrebbe essere l’ultima volta che vedi questa persona.
Quindi bacia, abbraccia e ama come se fosse l’ultima volta!!!

Filippo di Edimburgo: il principe che è stato sempre un passo dietro la regina.

Sorridenti, rilassati, chiaramente felici l’uno accanto all’altra. Alla vigilia del funerale del principe Filippo, la regina Elisabetta ha diffuso la sua fotografia preferita assieme al marito: un’immagine che sembra racchiudere la serenità della coppia, il piacere di stare all’aria aperta, l’armonia di famiglia. Sul volto l’espressione dolce e allegra di un pomeriggio trascorso a passeggiare. Lo scatto è stato realizzato nel 2003 da Sophie, contessa di Wessex, moglie di Edoardo e nuora della regina e del duca di Edimburgo. Se diversi membri della famiglia reale negli ultimi giorni hanno rilasciato fotografie inedite del duca di Edimburgo, l’ultima, e forse la più toccante, è spettata a lei, Elisabetta, che oggi dirà addio al compagno di una vita, l’uomo con il quale, sino a venerdì scorso, ha condiviso ogni giorno del suo regno. Dopo 73 anni insieme, la perdita di Elisabetta è immensa. Oggi al funerale, dove i Windsor saranno distanziati nel rispetto delle norme sanitarie anti Covid, Elisabetta sarà seduta lontana dalla famiglia, per la prima volta sola.

La contadina e le candele

Una contadina, avendo il marito ammalato gravemente, fece voto di accendere ogni giorno, per un anno intero, un cero davanti all’immagine della Santa Vergine. Tutte le mattine, di buon’ora, correva fino alla piazza principale del paese dove si ergeva la Chiesa parrocchiale e, recitato un Pater, Ave e Gloria, offriva la sua candela alla Madonna. Poi se ne tornava velocemente a casa per assistere il marito infermo. Dopo nove giorni, l’uomo si alzò dal letto, guarito.

Il decimo giorno, la donna, dovendo lavare tutta la biancheria accumulatasi durante la malattia del marito, disse tra sé: “Oggi ho troppo lavoro da sbrigare, vorrà dire che andrò in Chiesa domani e accenderò due ceri”.

L’indomani pioveva molto forte, perciò la donna disse: “Oggi c’è troppa pioggia. Se uscissi, mi bagnerei tutta. Vorrà dire che andrò domani e accenderò tre ceri”.

Di giorno in giorno trovava sempre una scusa buona per non andarci. Però la donna si faceva premura di tenere il conto delle candele che avrebbe dovuto accendere. E così un giorno si accorse che erano già cinquanta e pensò: “Cinquanta candele?!? Ma se io, adesso, vado in Chiesa ad accendere cinquanta candele mi prenderanno certamente per matta!”. Perciò decise di lasciar stare.

MORALE: Troppo spesso ci rivolgiamo a Dio solo nel bisogno e ci dimentichiamo di ringraziarlo ogni giorno per il dono della vita. Siamo troppo presi dalle nostre vite, dai nostri mille impegni, però nel momento della difficoltà il tempo per chiedergli una grazia lo troviamo.

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