La vita…

Sei nato nudo…
Morirai di nuovo nudo…
Sei arrivato debole…
Così debole te ne andrai di nuovo.
Sei venuto senza soldi e materiale…
Andrai via senza soldi e materiale…
La tua prima doccia…è stata qualcuno che ti ha lavato e vestito…
La tua ultima doccia…qualcuno che ti laverà e ti vestirà…
Questo è l’essere umano…
Allora perché così tanto orgoglio, tanta cattiveria, tanta invidia, tanto odio, tanto rancore, tanto egoismo…
Abbiamo un tempo limitato sulla Terra e lo sprechiamo per l’inutilità. La Vita è un soffio veloce…

Sabato santo: Veglia pasquale (3 aprile 2021)

Che cosa è la risurrezione?

In questa solenne Veglia pasquale riviviamo un evento che dà sostanza alla nostra fede e che è il centro della nostra speranza: la risurrezione di Cristo. «La speranza cristiana è la risurrezione dei morti; tutto ciò che noi siamo, lo siamo in quanto crediamo nella risurrezione», dice Tertulliano.

Ma che cosa è la risurrezione? La Chiesa cerca di condurci alla sua comprensione, traducendo questo avvenimento misterioso nel linguaggio dei simboli nei quali possiamo in qualche modo contemplare questo evento sconvolgente. Nella Veglia Pasquale essa ci indica il significato di questo giorno soprattutto mediante tre simboli: la luce, l’acqua e il canto nuovo: l’alleluia. 

La luce. In questa santissima notte, la Chiesa rappresenta il mistero di luce del Cristo nel segno del cero pasquale, la cui fiamma è insieme luce e calore. Il buio della notte viene attraversato dalla luce di Cristo. Per tre volte, infatti, il sacerdote o il diacono, alzando il cero, canta dicendo: «La luce di Cristo, oppure Cristo luce del mondo». Il simbolismo della luce è connesso con quello del fuoco: anch’esso è insieme luminosità e calore. Il cero pasquale arde e si consuma: ciò significa che croce e risurrezione sono inseparabili. Dalla croce nasce la luce, viene la vera luminosità nel mondo. Al cero pasquale noi tutti accendiamo le nostre candele, soprattutto quelle dei neobattezzati. La candela è il simbolo dell’illuminazione. La Chiesa antica, infatti, ha qualificato il Battesimo come Sacramento dell’illuminazione. Nel Battesimo il battezzando viene introdotto entro la luce di Cristo. Cristo, dunque, divide ora la luce dalle tenebre. In Lui riconosciamo che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è la luminosità e che cosa è il buio.

Abbiamo sentito parlare di luce anche nel racconto biblico appena ascoltato. Esso comincia con la parola: «Sia la luce!». Dove c’è la luce, nasce la vita. La risurrezione di Gesù, dunque, è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo, la Luce vera. Cristo è la grande Luce dalla quale proviene ogni vita. Egli ci fa riconoscere la gloria di Dio da un confine all’altro della terra. Egli ci indica la strada e vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce. 

Il secondo simbolo della Veglia Pasquale è l’acqua. Secondo l’ordinamento primitivo della Chiesa, il Battesimo doveva essere amministrato con acqua sorgiva fresca poiché essa è vita. Senza acqua non c’è vita. I catecumeni, quindi, in questa notte passano attraverso un’acqua che distrugge e rigenera. Come Israele nel Mar Rosso, essi passano insieme a Gesù attraverso il mare della morte e ne escono vittoriosi. Nelle acque del Battesimo viene inghiottito per tutti il mondo del peccato e riemerge la creazione nuova. L’acqua, fecondata dallo Spirito, genera il popolo dei figli di Dio: un popolo sacerdotale, profetico, regale. Per questo, insieme ai nuovi battezzati, anche noi, e l’intera comunità ecclesiale, facciamo memoria del passaggio pasquale del Cristo, e rinnoviamo attraverso le «promesse battesimali» la nostra fedeltà, confermiamo la nostra volontà di rinnovarci e di convertirci alla vita nuova (cf Rm 6,3-11). Il Battesimo, pertanto, non è solo un lavacro, ma una nuova nascita: con Cristo quasi discendiamo nel mare della morte, per risalire come creature nuove.

In merito all’acqua, inoltre, l’evangelista Giovanni ci racconta che un soldato con una lancia colpì il fianco di Gesù e che dal fianco aperto – dal suo cuore trafitto – uscì sangue e acqua (cf Gv 19,34). La Chiesa antica ne ha visto un simbolo per il Battesimo e l’Eucaristia che derivano dal cuore trafitto di Gesù. Nella morte Gesù è divenuto Egli stesso la sorgente. È Lui la sorgente di acqua viva. Da Lui sgorga il grande fiume che nel Battesimo fruttifica e rinnova  il mondo. Nel Battesimo il Signore fa di noi non solo persone di luce, ma anche sorgenti dalle quali scaturisce acqua viva. Noi tutti conosciamo persone simili che ci lasciano in qualche modo rinfrescati e rinnovati; persone che sono come una fonte di fresca acqua sorgiva. Non dobbiamo necessariamente pensare ai grandi come Agostino, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Madre Teresa di Calcutta, Pio da Pietrelcina e così via, persone attraverso le quali veramente fiumi di acqua viva sono entrati nella storia. Grazie a Dio, le troviamo continuamente anche nel nostro quotidiano: persone che sono una sorgente. Chiediamo al Signore, che ci ha donato la grazia del Battesimo, di poter essere sempre sorgenti di acqua pura, fresca, zampillante dalla fonte della sua verità e del suo amore! 

Ed infine, il terzo grande simbolo della Veglia Pasquale è il cantare l’alleluia. Quando un uomo sperimenta una grande gioia, non può tenerla per sé. Deve esprimerla, trasmetterla. Ma che cosa succede quando l’uomo viene toccato dalla luce della risurrezione e in questo modo viene a contatto con la Vita stessa, con la Verità e con l’Amore? Di ciò egli non può semplicemente parlare soltanto. Il parlare non basta più. Egli deve cantare. La prima menzione del cantare nella Bibbia, la troviamo dopo la traversata del Mar Rosso. Israele si è sollevato dalla schiavitù. È salito dalle profondità minacciose del mare. È come rinato. Vive ed è libero. La Bibbia descrive la reazione del popolo a questo grande evento del salvamento con la frase: «Il popolo credette nel Signore e in Mosè suo servo» (cf Es 14,31). Ne segue poi la seconda reazione che, con una specie di necessità interiore, emerge dalla prima: «Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore…». Nella Veglia Pasquale, anno per anno, noi cristiani intoniamo dopo la terza lettura questo canto, lo cantiamo come il nostro canto, perché anche noi mediante la potenza di Dio siamo stati tirati fuori dall’acqua e liberati alla vita vera. 

Ebbene, preghiamo il Signore affinché il piccolo lume della candela, che Egli ha acceso in noi, la luce delicata della sua parola e del suo amore, non si spenga ma diventi sempre più grande e più luminoso in modo che noi stessi diventiamo portatori della sua luce nel mondo. Amen. Alleluia.

Giovedì santo: ultima cena e lavanda dei piedi (1 aprile 2021)

Impariamo a lavarci i piedi gli uni gli altri

Le tre letture proposte dalla liturgia ci trasmettono perfettamente il messaggio centrale di questa giornata singolare, che parte dall’esperienza della prima Pasqua di liberazione, per giungere all’ultima cena pasquale vissuta da Gesù con gli apostoli, fino a Paolo che, nella seconda lettura, ci assicura che l’ultima cena di Gesù viene tramandata dagli apostoli alla chiesa di ogni tempo, fino ai nostri giorni.

La prima Pasqua è stata per gli Ebrei un’esperienza straordinaria. Una Pasqua che è diventata rito. Ogni anno, il 14 del mese di Nisan, il capo famiglia si vestiva da viandante, con i fianchi cinti e il bastone da viaggio in mano, e raccontava a tutti, ma soprattutto ai più giovani, la storia di liberazione dalla schiavitù verso la terra promessa, e rinnova il sacrificio dell’agnello. Con il suo sangue furono bagnati gli stipiti e l’architrave delle case. Agnello immolato, poi arrostito al fuoco, mangiato insieme al pane non lievitato e alle erbe amare.

Un rito che Gesù rinnova, questa volta insieme ai suoi apostoli. È una vera Pasqua la sua, nella quale anche Gesù e gli apostoli consumano l’agnello e le erbe amare. Anche Gesù e gli apostoli si collegano così alla storia del popolo eletto. Pensando alla imminente passione, è inevitabile vedere nella persona di Gesù il vero agnello pasquale che veniva immolato.

Gesù tiene agli apostoli un lungo discorso, pieno di amicizia e di consegne per il futuro, quando lui non sarebbe stato più tra loro. Parole segnate da un profondo velo di tristezza, perché egli sapeva bene che gli apostoli lo avrebbero abbandonato e si sarebbero dispersi e che addirittura uno di loro lo avrebbe tradito e venduto.

Proprio in quella notte, Gesù decide di umiliarsi per amore: «Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo», ricorda l’apostolo Giovanni. Gesù lo sa ed è turbato. Provoca Giuda e lo invita a compiere ciò che deve compiere: «Quello che vuoi fare, fallo presto» (cf Gv 13,27). Nella stessa notte anche Pietro dimostrerà la sua fragilità. Ora non vuole farsi lavare i piedi da Gesù: «Signore, tu lavi i piedi a me? […] Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Pietro avrà pensato che non era giusto che il Messia si abbassasse in questo modo. A questo suo iniziale rifiuto Gesù, annota l’evangelista, risponde dicendo: «Se non ti laverò, non avrai parte con me. Gli disse Simon Pietro: Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Pietro, dunque, assicura la sua assoluta fedeltà al Maestro.

Ebbene, Gesù, scrive Giovanni, «depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto». Questo gesto di straordinaria umiltà compiuto da Gesù, gesto che non veniva permesso neppure agli schiavi, tanto era umiliante, sta a significare che egli ama i suoi senza misura. Gesù, dopo che ebbe lavato i piedi ai suoi apostoli commenta: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». È il cuore del messaggio che passa attraverso l’Eucaristia che ci viene data in dono proprio quest’oggi.

In che cosa consiste il “lavarci i piedi gli uni gli altri”? Che cosa significa in concreto? Lavarci i piedi gli uni gli altri significa imparare l’umiltà. Gesù ci invita ad imitare la sua umiltà, ad affidarci ad essa, a lasciarci “contagiare” da essa. Lavarci i piedi gli uni gli altri significa perdonarci instancabilmente gli uni gli altri, sempre di nuovo ricominciare insieme per quanto possa anche sembrare inutile. Significa purificarci gli uni gli altri sopportandoci a vicenda e accettando di essere sopportati dagli altri; purificarci gli uni gli altri donandoci a vicenda la forza santificante della Parola di Dio e introducendoci nel Sacramento dell’amore divino. 

Il Signore ci purifica, e per questo osiamo accedere alla sua mensa. Preghiamolo di donare a tutti noi la grazia di potere un giorno essere per sempre ospiti dell’eterno banchetto nuziale. Amen!  

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