Solennità dell’assunzione di Maria santissima al cielo – messa del giorno Anno A (15 agosto 2023)

Maria: Avvocata nostra!

L’«Assunzione» di Maria al cielo è un dogma l di fede della chiesa cattolica, secondo il quale Maria, madre di Gesù, al termine della sua vita terrena, andò in paradiso  in anima e corpo.

Il termine «Assunzione» comparve a Gerusalemme verso la fine del V secolo d.C. e, proprio a Gerusalemme, si celebrava in questo giorno una festa nella basilica eretta al Getsemani, nella quale si pensava vi fosse la tomba della Vergine. Il 1º novembre 1950, papa Pio XII, avvalendosi dell’infallibilità papale, proclamò il dogma con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus con la seguente formula: «La Vergine Maria, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

Ebbene, in questa solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, il Vangelo ci presenta la giovane di Nazaret che, ricevuto l’annuncio dell’Angelo, parte in fretta per stare vicino a sua cugina Elisabetta, negli ultimi mesi della sua prodigiosa gravidanza. Arrivando da lei, Maria coglie dalla sua bocca le parole che sono entrate a formare la preghiera dell’“Ave Maria”: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». In effetti, il dono più grande che Maria porta a Elisabetta – e al mondo intero – è Gesù, che già vive in lei. Dalla Vergine Gesù, per opera dello Spirito Santo, ha preso carne umana, per la sua missione di salvezza.

Nella casa di Elisabetta e di suo marito Zaccaria, dove prima regnava la tristezza per la mancanza di figli, ora c’è la gioia di un bambino in arrivo: un bambino che diventerà il grande Giovanni Battista, precursore del Messia. E quando arriva Maria, la gioia trabocca e prorompe dai cuori, perché la presenza invisibile ma reale di Gesù riempie tutto di senso: la vita, la famiglia, la salvezza del popolo… Tutto! Questa gioia piena si esprime con la voce di Maria nella preghiera stupenda che il Vangelo di Luca ci ha trasmesso e che, dalla prima parola latina, si chiama Magnificat. È un canto di lode a Dio che opera cose grandi attraverso le persone umili, sconosciute al mondo, come è Maria stessa, come è il suo sposo Giuseppe, e come è anche il luogo in cui vivono, Nazaret. Grandi cose il Signore fa nel mondo con gli umili, perché l’umiltà è come un vuoto che lascia posto a Dio. L’umile è potente, perché è umile: non perché è forte. E questa è la grandezza dell’umile e dell’umiltà. Poniamoci una domanda: ma noi siamo umili e semplici come la Madre di Gesù? Nel nostro cuore vi è superbia o umiltà? Cerchiamo di essere riconosciuti dagli altri, di affermarci ed essere lodati oppure pensiamo a servire? Sappiamo ascoltare, come Maria, oppure vogliamo solo parlare e ricevere attenzioni? Sappiamo fare silenzio, come Maria, oppure chiacchieriamo sempre? Sappiamo fare un passo indietro, disinnescare liti e discussioni, oppure cerchiamo solo di primeggiare?

Il Magnificat canta il Dio misericordioso e fedele, che compie il suo disegno di salvezza con i piccoli e i poveri, con quelli che hanno fede in Lui, che si fidano della sua Parola, come Maria. Ecco l’esclamazione di Elisabetta: «Beata te che hai creduto»! Maria ha creduto alle parole dell’arcangelo Gabriele. E noi crediamo alle parole del Figlio suo Gesù?

C’è una bella parola di san Gregorio Magno su san Benedetto che possiamo applicare anche a Maria: san Gregorio Magno dice che «il cuore di san Benedetto è divenuto così grande che tutto il creato poteva entrare in questo cuore. Questo vale ancora più per Maria: Maria, unita totalmente a Dio, ha un cuore così grande che tutta la creazione può entrare in questo cuore». «Maria, conclude san Gregorio, la nostra Mamma celeste, ha il cuore largo come il cuore di Dio». Maria, dunque, è vicinissima ad ognuno di noi, ci ascolta, ci aiuta, e la devozione verso la Madre del Signore è stata manifestata, in passato come nel presente, dagli ex-voto che i fedeli hanno offerto alla Vergine Santa in ogni parte del mondo.

Celebrando oggi l’Assunzione di Maria Santissima in Cielo chiediamo a Lei, la nostra Avvocata, di rivolgere i suoi occhi materni e misericordiosi su di noi, di aumentare e rafforzare la nostra fede in Gesù Cristo; di concedere la pace alla umana società e in special modo la sua materna benedizione.

Invochiamo e ringraziamo Maria recitando il santo Rosario. Il Rosario, tanto caro alla Vergine Santa, è, come scriveva il beato Bartolo Longo: una «Catena dolce che ci rannoda a Dio, vincolo di amore che ci unisce agli Angeli, torre di salvezza negli assalti dell’inferno, porto sicuro nel comune naufragio». E, con le parole del beato Bartolo Longo, concludo questo mio pensiero: «Tu ci sarai conforto nell’ora di agonia, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti. Sii ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo». Amen!

 

Ultima apparizione della Vergine coincidente con la morte del Pastor Angelicus…

Il 13 ottobre 1958 il santo Padre Pio XII veniva sepolto nelle grotte Vaticane, mentre la Vergine santissima a Fatima si manifestava per l’ultima volta ai pastorelli. Nel 1950 la Vergine gli era apparsa nei giardini Vaticani. In quell’ anno egli proclamò il dogma della sua Assunzione al cielo.

Affermazione di Pio XII

Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato negherà il proprio Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà allora tentata di credere che l’uomo è diventato Dio… Nelle nostre chiese, i Cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta. Come Maria Maddalena, in lacrime dinanzi alla tomba vuota, si chiederanno: Dove Lo hanno portato? (Cit. Pio XII)

Commento al Vangelo della XXIV Domenica del Tempo Ordinario Anno A (13 settembre 2020)

Impariamo a perdonare

Siamo sempre all’interno del capitolo 18 del vangelo secondo Matteo. Domenica scorsa si parlava della correzione fraterna, oggi, invece, del perdono. L’evangelista, infatti, narra che Pietro si avvicina a Gesù e gli chiede: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?». Ovvero: c’è un limite al perdono? E, credendo di esagerare, avanza già una prima risposta: «Fino a sette volte?». No, ribatte Gesù, neanche questa misura abbondante è sufficiente, il perdono verso gli altri deve essere illimitato, sconfinato: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette», parole che ribaltano la logica vendicativa propria del risentimento umano.

Affinché tale comando si imprima nei cuori e nelle menti dei discepoli, Gesù narra loro una parabola che rivela come il perdono accordato a ciascuno di noi dal Padre celeste è la misura del perdono reciproco: «il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi…». In questa storia tutto è inverosimile, ma proprio per questo essa è chiara nel suo significato, che urta contro ogni logica umana. C’è un servo, un funzionario di corte, che deve al suo re diecimila talenti: una somma spropositata, impossibile da rendere, in quanto equivale allo stipendio di cento milioni di giornate di lavoro! Minacciato dal suo signore di essere venduto insieme alla famiglia e a ciò che possiede, per saldare in minima parte questo enorme debito, egli si getta ai suoi piedi e lo supplica: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». Allora il re prova compassione e gli condona il debito. Però, annota l’evangelista, appena uscito da questo colloquio che gli ha riaperto un futuro possibile, costui incontra un suo con-servo, che gli deve cento denari: una somma di denaro non piccola, eppure irrisoria rispetto ai diecimila talenti di cui egli era debitore. Ma con la sua condotta egli mostra che non sempre il perdono muta il cuore di colui che lo riceve. Infatti, supplicato dal suo debitore con le stesse parole da lui usate verso il re, si mostra inflessibile: dopo averlo trattato con violenza, lo fa gettare in carcere, fino a che non abbia saldato il debito. «Come è possibile?», ci chiediamo d’istinto, dimenticando che spesso questo è il nostro modo di agire. E come noi se lo chiedono gli altri servi della parabola che, rattristati e indigenti, si ribellano di fronte all’ingiustizia perpetrata sotto i loro occhi e hanno il coraggio di denunciare l’accaduto al loro signore.

Quest’ultimo, mandato a chiamare il servo malvagio, gli ricorda il debito immenso a lui condonato: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato». Poi lo invita a trarre le conseguenze dell’accaduto, con una domanda che siamo chiamati a lasciar risuonare in noi, poiché essa rappresenta il vero vertice della parabola e, insieme, il suo insegnamento fondamentale: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». Infine, davanti a questa stupida cecità del suo interlocutore il signore si vede costretto a consegnarlo agli aguzzini, finché non abbia restituito il dovuto. E Gesù commenta: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Sì, dobbiamo perdonare i nostri fratelli senza misura, perché Dio ci ha già fatti oggetto, in Gesù Cristo, di un perdono unilaterale e senza misura (cf Rm 5, 6-10). E, inversamente, possiamo chiedere perdono al Signore solo nella misura in cui siamo disposti a perdonare i nostri «con-servi». Ecco perché nel «Padre nostro» la richiesta di perdono da noi rivolta a Dio è condizionata dalla nostra pratica di perdono verso gli altri. Non a caso l’unica domanda di questa preghiera che Gesù spiega è: «rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (cf Mt 6,12), e lo fa con parole che dobbiamo ricordare: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (cf Mt 6, 14-15).

Ebbene, il perdono è la vera vittoria sul male. Impariamo a perdonare perché, come disse Papa Pio XII: «L’avvenire appartiene a quelli che amano, a quelli che perdonano, non a quelli che odiano, perché il male si vince col bene; questo è il comandamento di Dio».

Solennità dell’Assunzione della beata Vergine Maria (messa del giorno)

Maria ci aiuti a trovare la giusta strada ogni giorno

Il 14 agosto 1941 San Massimiliano Maria Kolbe, mentre languiva nel bunker della fame nel lager di Auschwitz, offrì serenamente il braccio al carnefice per l’iniezione di veleno letale e gli chiese: «Che giorno è?». Aveva infatti perso il conto dei giorni a motivo dell’isolamento in cui l’avevano relegato. Il soldato bruscamente rispose: «È il 14 agosto». San Massimiliano Kolbe, quasi parlando con la propria anima, sorridente esclamò: «Che bello! È la vigilia dell’Assunta: domani farò festa con Lei in Cielo!».

San Massimiliano Kolbe aveva sempre presente l’orientamento della vita e non perdeva mai di vista la meta del cammino: per questo motivo non si lasciò schiacciare dal peso terribile di un campo di concentramento ma ne uscì vincitore. Anche noi dobbiamo recuperare questo atteggiamento spirituale: dobbiamo ricordarci che siamo sempre alla vigilia del grande giorno, ossia che siamo sempre sulla soglia radiosa dell’Eternità.

Fin dai primi secoli i cristiani hanno percepito che in Maria – colei che aveva generato il Risorto – era prefigurata la meta che attende ogni vivente: la solennità di oggi, dunque, è un richiamo al futuro, è un’anticipazione di ciò che sarà, è il nostro avvenire vissuto in primizia.

La chiesa, fin dalle origini, ha custodito questa consolante notizia nella sua memoria di fede. In Oriente la festa della Dormitio Virginis (dormizione della Vergine) è antichissima e si esprime attraverso una iconografia carica di messaggi. La Madonna è rappresentata circondata dagli apostoli come nel giorno di Pentecoste (quasi ad indicare che la comunità dei discepoli deve sempre stringersi attorno a Maria per invocare il dono dello Spirito Santo), mentre Gesù tiene tra le sue braccia una «bambina»: quella «bambina» è Maria Vergine diventata «piccola» per il Regno dei cieli e condotta dal Signore alla festa dei redenti dal suo sangue: Sangue ricevuto nel grembo di Maria!

San Giovanni apostolo, autore dell’Apocalisse, l’ha contemplata come donna vestita di sole, coronata dalle dodici stelle delle tribù di Israele, partoriente il Messia (cf Ap 12, 1-2), ma anche come madre della discendenza di Gesù, la chiesa (cf Ap 12, 17).

Pertanto Maria, colei che è stata assunta in cielo in anima e corpo, colei che è stata definita «beata» da sua cugina Elisabetta, resta Madre per sempre, rivolta verso la terra, attenta alle sofferenze degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, presente al loro pellegrinare sovente incerto.

Il Sommo Pontefice papa Pio XII, durante l’Anno Santo del 1950, nella qualità d’interprete autorevole della «traditio fidei» ha dichiarato che questa notizia custodita nella memoria del popolo di Dio è una notizia autentica: essa viene dalle origini apostoliche, viene dal fatto veramente accaduto e tramandato.

Ma perché la Beata Vergine Maria è stata assunta in cielo in anima e corpo? Perché Dio ha voluto questo ulteriore «segno»? Certamente noi possiamo soltanto balbettare qualche ragione: le «ragioni di Dio», infatti, ci superano infinitamente. Però è lecito, anzi è doveroso riflettere sulle verità di fede, affinché ci illuminino e ci nutrano l’anima.

A me sembra che l’Assunzione di Maria al cielo sottolinei il profondo legame che esiste tra il Figlio e la Madre: Gesù ha ricevuto il suo corpo da Maria e Maria ha fatto accanto al Figlio tutto il cammino della fede fino ad essergli vicina nella «grande ora», l’«ora della Croce».

Nel Prefazio, inoltre, leggiamo: «Oggi la Vergine Maria, madre di Cristo, […] è stata assunta nella gloria del cielo. […] Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita».

Ebbene, ringraziamo, in questo giorno di festa, il Signore per il dono della Madre e sempre affidiamo tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi. Che Maria, regina del cielo e della terra, ci aiuti a tenere sempre fisso lo sguardo verso Cristo Gesù suo Figlio, nostra unica salvezza, e ci aiuti a trovare la giusta strada ogni giorno. Amen.

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