Beato Rolando Rivi. Il martire bambino

Racconto del martirio del Beato Rolando Rivi – seminarista

Quando Rolando tornava a casa da Messa con la talare la mamma diceva:
“Rolando togliti la veste, è pericoloso girare con quell’abito.”
Ma lui rispondeva:
“Mamma non posso. E’ il segno che sono di Gesù. Non faccio del male a nessuno.”
Quando in chiesa pregava, davvero lui parlava con Gesù. Non si toglieva mai la talare. Non si vergognava mai della sua vocazione e ne parlava sempre a tutti con entusiasmo. “Qual dono grandissimo Dio mi ha fatto di poter diventar prete” diceva.
Erano passati pochi giorni dalla Pasqua, era la mattina del 10 aprile 1945 e Rolando anche quella mattina era andato alla Messa presto, aveva suonato l’organo e cantato con altri alla Messa.
Si era trattenuto alquanto in preghiera e poi, fuori, aveva dato appuntamento ai presenti per la mattina dopo. Si sarebbero reincontrati.
Il papà era anche lui a messa, poi tornarono a casa. Rolando dice di andare nel solito boschetto vicino a casa a studiare, come ogni mattina; non voleva perdere tempo e desiderava studiare come fosse in seminario.
All’ora di pranzo Rolando non è tornato. Il papà si preoccupa, lo va a cercare ma trova nel bosco i libri sparpagliati a terra ed un biglietto: Non cercatelo, viene con noi, i partigiani. Il papà torna a casa, lo dice alla moglie la quale si dispera. Comprendono che Rolando è stato rapito.
Lo portarono lontano, ore di cammino per sentieri nascosti, fino a Monchio. Lo rinchiusero in un vecchio casolare fuori paese, ora era prigioniero di alcuni giovani partigiani comunisti. Fu chiuso nella porcilaia.
Gli urlarono dietro: “Sei una spia dei fascisti.”
Lo presero a schiaffi, gli sputarono addosso, lo frustarono con la cinghia, lo deridevano: “ECCO IL PRETINO.”
Questo per tre giorni, fino al venerdì.
Un giovane di 17 anni della banda si impietosì e disse: “Lasciamolo andare, gli abbiamo già dato una bella lezione.”
Un altro del gruppo disse: “Taci se non vuoi fare la sua stessa fine.”
Desiderano che rinneghi Gesù, che dica bestemmie, ma Rolando nulla di tutto questo: “Io non ho fatto nulla di male. Io sono seminarista. Io mi faccio prete… Io… sono di Gesù.”
Decidono di ucciderlo, dopo tre giorni di torture: “Domani avremo così un prete in meno.”
Sta per farsi sera, gli legano le mani dietro la schiena, lo portano in un boschetto alle piane di Monchio. E’ stremato Rolando, piange, prega, ormai ha capito, lo mettono vicino alla fossa che sarà la sua prima tomba.
Ultimo desiderio: “Voglio pregare per mio papà e mia mamma.”
Si inginocchia sull’orlo della fossa e prega. Due colpi di rivoltella: uno alla testa, l’altro al cuore.
Un ultimo pensiero a Gesù, e poi la fine.
Con poche palate e un po’ di foglie sopra lo hanno subito sepolto.
La veste da prete diventa subito un pallone con cui giocano, poi, così arrotolato e sgualcito appendono l’abito sotto un portico di una casa di contadini lì vicina come trofeo, quasi a dire, chi è come lui sappia che farà la stessa fine.
Un odio che raggela il sangue. Come si può arrivare a tanto?
Papà Roberto e il cappellano lo cercano, e un partigiano che li incontra racconta loro che hanno ucciso il seminarista.
Quel partigiano fa vedere la rivoltella a papà Roberto e gli dice: “L’ho ucciso io, con questa non si può sbagliare e non si soffre molto. L’ho ucciso qui, l’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo.”
E’ la sera del 14 aprile 1945. Rolando aveva appena 14 anni.

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