Commento al Vangelo di Natale Messa vespertina Anno B (24 dicembre 2023)

Signore vieni a salvarci!

Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.

Così lo invoca un’antica antifona liturgica: «O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio». Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cf Sal 40,3).

Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per volere di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che significa «Salvatore» (cf Mt 1,21; Lc 1,31). Egli è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte (cf Gen 3,1-7). Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: “Veni ad salvandum nos! – Vieni a salvarci!”.

Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati. Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso.

Gesù Cristo è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non solo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Se stesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione (cf Es 3,7-12). La risposta che Dio ha dato in Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giungendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, ma divina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva scegliere di salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma è quella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione, del dialogo, della collaborazione.

Perciò, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria, e diciamo: “Vieni a salvarci!”. Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce.

Il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora oggi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pace e stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo.

Rivolgiamo lo sguardo alla Grotta di Betlemme: il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita. Ripetiamogli con fiducia e speranza: “Veni ad salvandum nos!”. Amen!

 

 

Il bambino e il tabernacolo



C’era una volta un bimbo che andava al mercato con la mamma e approfittando della distrazione del genitore che acquistava la frutta, si allontanò per entrare in chiesa.
La chiesa era vuota e buia, ma il bimbo vide che in una cappellina vicino l’altare c’era una grande luce.
Si avvicinò e vide uno spettacolo meraviglioso.
I cherubini e i serafini che cantavano delle lodi, i santi che si prostravano a terra, la Santa Vergine che in ginocchio adorava e tanti angeli che sbattevano le ali.
Quando il bimbo si avvicinò all’altare tutto si acquietò, l’universo sembrava fermo e tutti guardarono quel bimbo. Anche la Santa Vergine diresse il suo sguardo a quel fanciullo. Il bimbo meravigliato salì i gradini dell’altare e guardò il tabernacolo.
Cosa c’era di tanto importante dietro quella porticina? Cercò con le manine di arrivare in alto ma era troppo piccolo.
Allora la Santa Vergine lo prese in braccio e lo avvicinò al tabernacolo.
Il bimbo chiese cosa c’era in quella casetta e la Santa Vergine rispose: c’è il mio e tuo Gesù.
Il bimbo si inchinò e diede un bacio al tabernacolo. Subito i cherubini e i serafini cantarono le lodi, i santi si prostravano a terra, e gli angeli sbatterono le ali.
Questa piccola storia ci insegna tante cose:

1. In chiesa si trova Gesù
2. Coloro che lo cercano vedono la sua luce.
3. Attorno a Gesù c’è il paradiso.
4. La Madonna è accanto a Gesù.
5. La Madonna ci porta a Gesù
6. Nel tabernacolo c’è Gesù vivo e vero.

Se non ritorneremo ad essere come i bambini, difficilmente entreremo nel regno dei cieli.

Il bambino e il Cricifisso

Un giorno un ragazzino di cinque anni entrò in una farmacia correndo e disse al farmacista: «Signore, ecco tutti i soldi che ho. Per piacere, mi dia un miracolo!».

Il farmacista, sbigottito, gli chiese che miracolo volesse, e perché. Quello rispose: Il medico ha detto che mia madre avrebbe bisogno di un miracolo per guarire. Ecco tutti i soldi che ho risparmiato per comprarmi una bicicletta, ma amo la mamma e voglio che guarisca. Per piacere, signore, mi aiuti! Questi soldi bastano?

Il farmacista, vivamente commosso, gli rispose di non avere la medicina “miracolo” per curare la mamma, ma che se ce l’avesse avuta gliel’avrebbe offerta gratuitamente. Aggiunse poi che solo Gesù ha questa medicina speciale, e lo invitò ad andare in chiesa per farsela dare.

Il bambino corse come un fulmine fino alla chiesa. Arrivò davanti al crocifisso vicino all’altare e disse: Lo so che sei in croce, che ti fa male e che non hai molto tempo per me, però il farmacista mi ha detto che il miracolo di mia madre ce l’hai tu. Io voglio bene alla mamma ed ecco tutti i soldi che ho risparmiato per farmi una bicicletta. Te li do e ti prometto che verrò ad aiutarti per scendere dalla croce, ma per piacere aiutami!

Purtroppo Gesù non gli rispose, e allora il ragazzino si mise a gridare: Se non vuoi aiutarmi, andrò a piangere da tua madre, la Madonna! Se anche tu ami tua madre come io amo la mia, aiutami e dammi la medicina. Ti prometto di tornare il prima possibile per aiutarti.

Il prete, che aveva sentito il grido del ragazzino, gli si avvicinò e lo invitò a parlare a bassa voce, con Gesù. Gli spiegò che Cristo lo ascolta anche se non risponde direttamente.

Commosso dal bambino, il prete decise di seguirlo a casa. Lungo il tratto di strada dalla chiesa alla casa, il bambino spiegò al prete quanto volesse bene alla madre, gli disse che per lui lei era tutto e che solo Gesù aveva il miracolo che avrebbe potuto guarirla, come gli aveva spiegato il farmacista.

Una volta a casa, il piccolo trovò il letto di sua madre vuoto. La chiamò ad alta voce ed ecco che la vide uscire dalla cucina. Gli disse: Il dottore che è venuto a visitarmi mi ha guarita e ti saluta. Ti manda a dire che anche lui ama tanto sua madre. Come conosci questo dottore?

Allora il prete si girò verso il ragazzino e gli disse: «Vedi, ha fatto quello che gli avevi chiesto, ed è pure arrivato prima di noi».

PAPA FRANCESCO HA DETTO…

“Pensate a una madre single che va in parrocchia e dice al sacerdote: VOGLIO BATTEZZARE MIO FIGLIO, e il sacerdote risponde: “No, non si può, perché lei non si è sposata…”!

Teniamo presente che… questa madre ha avuto il coraggio di continuare una gravidanza, e cosa si trova? Con una porta chiusa!
E così, se seguiamo questa strada e con questo atteggiamento, non stiamo facendo del bene alla gente, al Popolo di Dio.

“CHI SI AVVICINA ALLA CHIESA DEVE TROVARE PORTE APERTE E NON FISCALI DELLA FEDE”.

“Abbiamo bisogno di santi senza velo, senza tonaca. Abbiamo bisogno di santi in jeans e scarpe da ginnastica.

Abbiamo bisogno di santi che vadano al cinema, ascoltino musica e passeggino con i loro amici.

Abbiamo bisogno di santi che mettano Dio al primo posto e che eccellano all’Università.

Abbiamo bisogno di santi che cerchino il tempo per pregare ogni giorno e che sappiano innamorarsi in purezza e castità, o che consacrino la loro castità.

Abbiamo bisogno di santi moderni, santi del ventunesimo secolo con una spiritualità inserita nel nostro tempo.

Abbiamo bisogno di santi impegnati con i poveri e i necessari cambiamenti sociali.

Abbiamo bisogno di santi che vivono nel mondo, che si santifichino nel mondo e che non abbiano paura di vivere nel mondo.

Abbiamo bisogno di santi che bevano Coca Cola e mangiano hot dog, che ascoltino iPod.

Abbiamo bisogno di santi che amino l’Eucaristia e che non si vergognino di bere una birra o mangiare pizza nel fine settimana con gli amici.

Abbiamo bisogno di santi a cui piace il cinema, il teatro, la musica, la danza, lo sport.

Abbiamo bisogno di santi socievoli, aperti, normali, amici, allegri, compagni.

Abbiamo bisogno di santi che siano al mondo e che sappiano assaporare le cose pure e buone del mondo, ma senza essere mondani”.

Questi dobbiamo essere noi!!!

Storia di una mamma e del suo bambino

Dopo aver saputo che il cancro non era più curabile, perché nessuna terapia faceva più effetto e lo stato era ormai troppo avanzato, mamma ROSA è andata nella stanza di Emilio, il suo bambino, che giocava con il tablet.
Si è seduta accanto a lui, sul letto.
“Fa male respirare vero?” gli chiede la mamma.
“Si mamma, tanto!” risponde Emilio.
“Questa questione del cancro, è troppo difficile.Sai cosa ti dico? Non devi più combattere” (dice la mamma fingendo una felicità disarmante).
“Non devo più combattere?? No mamma, io combatto, lo farò per te!’
“È questo che stai facendo amore?combatti per la mamma?”
“Si mamma, per te”!
“Ascolta amore, qual è la missione della mamma?”
“Tenermi al sicuro!”
“Proprio così, ed io nn posso più farlo qui. L’unico modo per tenerti al sicuro è in cielo.
“Allora andrò in paradiso? Ma io aspetterò li il tuo arrivo mamma!Verrai vero!?”
“Certo vita mia, non potrai sbarazzarti mai della tua mamma”.
Da quella conversazione, Emilio e la sua mamma hanno vissuto attimo per attimo.
Giocato, riso, si sono stretti tanto, abbracciati cuore a cuore.
La sera prima che morisse, era a letto con la sua mamma, dicendole come voleva essere ricordato.
Come un poliziotto ovviamente.
Rosa, quella sera, si chiuse in bagno.
Sentiva che qualcosa stava per succedere.
Si arrese al dolore, e cadde in preda ad un pianto struggente.
Si asciuga le lacrime, indossa un sorriso e si rimette a letto con Emilio.
Lui la guarda,e dice:
“Mamma, ti amo.”
Dopo qualche secondo muore.
Questo piccolo eroe muore all’età di quattro anni, per una maledetta battaglia persa contro il cancro.
Sono due le immagini che Rosa riporta.
Una quella in cui Emilio, sul tappeto in bagno mentre guarda la sua mamma fare le pulizie.
L’altra in cui su quel tappeto quel piccolo angelo non c’è più.

Se tuo figlio è accanto a te, stringilo, abbraccialo ogni istante.
Come se fosse il giorno più bello della tua vita.

Testo e immagine da @espiritualidades instragram

Perché i cani vivono meno delle persone?

Ecco la risposta data da un bambino di 6 anni.

Essendo un veterinario, mi hanno chiamato per esaminare un cane irlandese di 13 anni chiamato
Belker.
La famiglia del cane, Ron, sua moglie Lisa e il suo piccolo Shane, erano molto uniti a Belker e aspettavano un miracolo.
Ho esaminato Belker e ho scoperto che stava morendo di cancro. Ho detto alla famiglia che non potevo fare niente per Belker, e mi sono offerto di eseguire la procedura di eutanasia a
casa sua.
Il giorno dopo, sentii la sensazione familiare nella mia gola quando Belker fu circondato dalla famiglia. Shane sembrava così tranquillo,
accarezzando il cane per l’ultima volta, e mi chiedevo se avesse capito cosa stava succedendo. Tra pochi minuti Belker cadrà pacificamente dormendo per non svegliarsi mai.

Il bambino sembrava accettare la transizione di Belker senza difficoltà. Ci sediamo per un momento chiedendoci perché lo sfortunato fatto
che la vita dei cani sia più breve di quella degli esseri umani.
Shane, che aveva ascoltato attentamente, disse:
”So perché…”!!!

Quello che ha detto dopo mi ha sorpreso: non ho mai sentito una spiegazione più confortante di
questa!
Questo momento ha cambiato il mio modo di vedere la vita.
Ha detto: ”La gente viene al mondo per imparare a vivere una bella vita, come amare gli altri tutto il tempo ed essere una brava persona, giusto?”.

“Beh, visto che i cani sono già nati sapendo come fare tutto questo, non devono restare a lungo come noi”.

La morale della storia è:

Se un cane fosse un insegnante, insegnerebbe cose come:

• Quando i tuoi cari torneranno a casa, corri sempre a salutare.
• Non lasciare mai passare la possibilità di andare a spasso;
• Fai esperienza dell’aria fresca e del vento;
• Corri, salta e gioca ogni giorno;
• Migliorate la vostra attenzione e lasciate che la gente vi tocchi;
• Evitate di “mordere” quando solo un “ringhio”sarebbe sufficiente;
• Nei giorni caldi, sdraiatevi sull’erba.

E non dimenticare mai: “Quando qualcuno ha una brutta giornata, resta in silenzio, siediti vicino e dolcemente fai sentire che ci sei”.
Questo è il segreto della felicità che i cani ci hanno insegnato ogni giorno.

Commento al Vangelo nella solennità dell’Epifania Anno C (6 gennaio 2022)

Abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo

L’Epifania è una festa importante nel ciclo liturgico del Natale perché è la manifestazione di Gesù a tutti i popoli, simbolicamente rappresentati dai Magi, che offrono oro (che significa regalità di Cristo), incenso (divinità di Gesù), mirra (umanità del Signore). Il termina epifania deriva dal greco antico epifàneia (manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina).

Il brano evangelico, che narra questa manifestazione, inizia dicendo: «Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode». L’episodio avviene «al tempo del re Erode», ma il suo tempo sta per scadere, perché il tempo appartiene a Dio e chi pensa di diventarne padrone si illude. Erode, all’udire della nascita di Gesù, si sente minacciato: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? […] All’udire questo, il re Erode restò turbato». Erode non voleva questo nuovo re. Egli credeva soltanto in se stesso e pensava a proteggere il suo potere. Questo nuovo re che era nato, chiunque egli fosse, era considerato un suo antagonista e per questo doveva morire. Dunque, da politico astuto, nasconde il suo progetto omicida e con molta diplomazia si rivolge ai Magi, che aveva fatto chiamare segretamente, e dice loro: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Erode invia i Magi ma lui non si impegna e non si muove a cercare Gesù, come non si muovono i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo i quali erano a conoscenza della profezia. Infatti, costoro, riuniti dal re per sapere il luogo dove doveva nascere il Cristo risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Invece i Magi, sapienti che scrutavano e meditavano i segni della natura, si sono mossi. Hanno compiuto un lungo e faticoso viaggio. Da oriente sono venuti a Gerusalemme seguendo la sola luce di una stella e alla fine hanno trovato il figlio di Dio nato da Maria. L’evangelista Luca dice che: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, si prostrarono e lo adorarono». Questa è la frase centrale del brano evangelico perché riguarda l’incontro dei Magi con Gesù.

Erode è l’uomo che vive soltanto per sé, è l’uomo senza Dio, senza umiltà, pieno di orgoglio. I capi dei sacerdoti e gli scribi sono coloro che pur conoscendo la verità restano prigionieri di un passato che non apre al futuro, alla novità che Dio mette davanti ai loro occhi. Sono persone che assecondano il loro padrone e per questo sono persone non libere e non vive. I Magi, invece, osservano il cielo, vedono una stella, splendente, e sentono che devono muoversi e lo fanno, perché quella stella indica loro una strada da percorrere. Hanno sopportato la fatica del viaggio con tutti i dubbi e le incertezze che esso ha comportato, e hanno gustato, infine, la gioia di vedere il bambino: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

In tutti noi c’è il bisogno di conoscere il Signore, e questo bisogno lo ha messo Dio dentro di noi. Sono tanti i modi attraverso i quali Dio si fa sentire, bussa alla nostra porta. Spesso diciamo che siamo alla ricerca di Dio, in realtà è Dio per primo che è alla ricerca di noi.

Questa ricerca di Dio comporta fatica. I pastori devono vincere il torpore della notte, liberarsi dal tepore dei loro mantelli, incamminarsi nella notte, fidarsi di voci che potrebbero essere anche suggestioni. Per i Magi il cammino è più duro: a volte la stella si oscura, scompare alla loro vista, incontrano persone che «sanno», ma che rimangono nell’indifferenza o che, pur turbate, non si uniscono a loro nella ricerca del neonato re dei giudei. Anche per noi ci sono momenti di buio, di paura, di turbamento, di dubbio. Si può rimanere nella nostra religiosità, nei nostri riti, nelle nostre comodità senza muoverci. Perché muoverci? Perché rischiare? Se non ci muoviamo e se non cambiamo vita vivremo nei nostri pregiudizi, nel nostro egoismo, nel nostro orgoglio. Se non adoriamo Dio, e solo Dio, non saremo mai un segno di Dio per il mondo. Chiediamoci: siamo una epifania-manifestazione di Dio? Siamo un segno del vero ed unico Dio, che è umile, povero, mite e paziente?

I Magi obbediscono all’angelo perché sanno distinguere la verità dalla falsità e percorrono una nuova strada per tornare alla loro terra: «Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». Noi sappiamo distinguere il bene dal male? San Paolo nella lettera ai Romani scrive: «in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 18-19). I Magi non hanno avuto difficoltà ad inginocchiarsi davanti a quel bambino e ad offrirgli dei doni molto preziosi. Noi davanti a chi ci inginocchiamo? Davanti a Dio o davanti agli uomini? Davanti al Re dei re o davanti al denaro?

Coraggiosamente togliamo il lievito di Erode dalla nostra vita, rinunciamo al potere, all’orgoglio, al piacere personale, agli agi e alle comodità e – come dice il profeta Isaia (I Lettura): «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te».

IL NATALE DI SAN FRANCESCO

Era il 25 Dicembre del 1223, Francesco mentre arrivava dalla visita al Sultano D’Egitto decise di fermarsi a Greggio.
Quando arrivò nella città cercò un piazzale per fare una capanna che rassomigliasse alla grotta di Betlemme dove nacque Gesù. Il suo cuore era pieno di tenerezza e con slancio lo mise in atto con figure viventi. Incominciò a chiedere a tutti i pastori di Greccio di aiutarlo a costruire una stalla. La costruirono tutti insieme, poi cercarono un bue e poi un asinello da mettere tutte e due in un angolo cosi la stalla era pronta.
Visto che era la notte di Natale tutti gli abitanti di Greccio scesero in città a vedere cosa stesse succedendo. Poi Francesco chiese a una coppia di mettersi nella stalla come se fossero San Giuseppe e Maria e in mezzo a loro mise una piccola culla fatta di paglia dove sarebbe stato collocato Gesù Bambino. Quando fu tutto pronto Francesco incominciò a cantare il Vangelo di Natale: “In quei giorni l’imperatore Augusto decise di fare censimento di tutti i popoli del suo impero…”.
E quando Francesco arrivò alla frase che Maria diede alla luce il suo figlio Gesù e che poi lo avvolse in un panno povero, accadde un miracolo:
nella culla di paglia arrivò Gesù Bambino in carne e ossa in una luce splendente e bellissima per tutti gli abitanti .
Gesù era sceso tra tutti i poverelli con un sorriso splendente.

Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento Anno C (19 dicembre 2021)

Beata colei che ha creduto

Maria ha fatto la volontà del Padre quando ha obbedito prontamente alla chiamata di Dio, pronunciando il suo: «Eccomi». Subito la giovane vergine di Nazareth, si reca verso la montagna della Giudea, per andare a trovare la cugina Elisabetta. L’evangelista Luca scrive che «Maria si alzò e andò in fretta». Maria, dunque, corre perché vuole condividere con Elisabetta la gioia di ciò che sa, la gioia di ciò che ha capito, la gioia di ciò che ha creduto, la gioia di ciò che ha ricevuto. Il viaggio di Maria è un viaggio di carità che diventa missionario perché avendo saputo dall’ angelo Gabriele che Elisabetta aspetta un bambino, è convinta che può aver bisogno del suo aiuto. Il viaggio di Maria, dunque, mosso dall’ amore per mostrare concretamente la sua vicinanza all’ anziana parente, finisce per portare Cristo.

L’evangelista narra che «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo». Con il solo suono della voce Giovanni sussulta nel grembo ed Elisabetta viene riempita di Spirito Santo. Giovanni, feto di sei mesi, riconosce il suo Signore, cui dovrà preparare la strada; Elisabetta benedice Maria e il suo bambino e nello stesso tempo, animata dallo Spirito, esprime la grande gioia di inchinarsi umilmente davanti al figlio di Maria perché è il Signore e dice: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». Poi aggiunge: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?». Queste parole di Elisabetta mostrano la sua consapevolezza che Maria porta in grembo Gesù, Dio fatto uomo. Elisabetta testimonia che le profezie si sono compiute e che davvero Maria è la madre del Messia.

Infine Elisabetta afferma: «E beata colei che ha creduto nell’ adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Maria è beata perché ha creduto e ha aderito con tutta se stessa alle promesse di Dio. Questa è la vera grandezza: la grandezza nella fede! Credere significa, secondo un’antica traduzione latina, “dare il cuore” (da “cor-dare”). La Vergine Maria si è consegnata completamente nelle mani di quel Dio onnipotente che fa nuove tutte le cose e che rende possibile ciò che umanamente sembra impossibile.

Noi abbiamo fede nel Signore? Crediamo nel Signore? Facciamo la sua volontà? Ci stiamo preparando ad accogliere con umiltà e con gioia l’Emmanuele?

Il Natale è ormai alle porte. Chiediamo al Signore, Principe della pace, affinché per intercessione di Maria di Nazareth, possa donarci la gioia del cuore. Apriamo i nostri cuori alla preghiera sincera per poter festeggiare con gioia interiore la nascita del Salvatore.

Commento al Vangelo nella solennità del Corpus Domini Anno B (6 giugno 2021)

Lasciamoci stupire dalla presenza del Signore in mezzo a noi!

 La festa del Corpus Domini è nata in Belgio, all’inizio del XIII secolo; i monasteri benedettini furono i primi ad adottarla; il papa Urbano IV la estese a tutta la Chiesa nel 1264, anche per influsso del miracolo eucaristico di Bolsena, oggi venerato a Orvieto.

Ma che bisogno c’era di istituire una nuova festa? La Chiesa non ricorda l’istituzione dell’Eucaristia il Giovedì Santo? Non la celebra ogni Domenica e ogni giorno dell’anno? Il Corpus Domini è la prima festa che non ha per oggetto un evento della vita di Cristo, ma una verità di fede: la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia.

Per molto tempo quella del Corpus Domini fu l’unica processione in uso in tutta la cristianità e anche la più solenne. Oggi le processioni hanno ceduto il passo ai cortei (in genere, di protesta); ma se è caduta la coreografia esterna (addobbare i balconi delle proprie case esponendo le coperte più belle, ricoprire il manto stradale con fiori, fare altarini solenni, etc.), rimane intatto il senso profondo della festa e il motivo che l’ha ispirata: tenere desto lo stupore di fronte al più grande e più bello dei misteri della fede. La liturgia odierna riflette fedelmente questa caratteristica. Infatti tutti i suoi testi (letture, antifone, canti, preghiere) sono pervasi da un senso di meraviglia!

Però, se c’è un pericolo che i credenti oggi corrono nei confronti dell’Eucaristia, è quello di banalizzarla. Una volta non la si riceveva così spesso e prima di riceverla si dovevano premettere digiuno e confessione. Oggi praticamente tutti si accostano per riceverla… Ciò è molto bello perché la partecipazione alla Messa comporta anche la comunione. Tutto ciò, però, comporta un rischio mortale. San Paolo a tal proposito scrive: «chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (cf 1Cor 11,27-29).

Io credo che sia una grazia salutare per un cristiano passare attraverso un periodo di tempo in cui ha paura di accostarsi alla comunione, trema al pensiero di ciò che sta per accadere e non finisce di ripetere, come Giovanni Battista: «Tu vieni da me?» (cf Mt 3,14).

La predicazione della Chiesa non dovrebbe aver paura – ora che la comunione è diventata una cosa così abituale e così «facile» – di usare qualche volta il linguaggio dell’Epistola agli Ebrei e dire ai fedeli: «Voi non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al Dio giudice di tutti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (cf Eb 12,18-19.22-24). Nei primi tempi della Chiesa, al momento della comunione, risuonava un grido nell’assemblea: «Chi è santo si accosti, chi non lo è si penta!».

Ma non deve essere tanto la grandezza e la maestà di Dio la causa del nostro stupore di fronte al mistero eucaristico, quanto piuttosto la sua condiscendenza e il suo amore. L’Eucaristia è soprattutto questo, memoriale dell’amore di cui non esiste uno maggiore: dare la vita per i propri amici. Un giorno un bambino assisteva alla Messa con i suoi genitori. Come tutti i bimbi non faceva che muoversi e far rumore e il papà continuamente lo riprendeva per farlo stare buono. Giunti alla consacrazione il padre gli fa capire che adesso deve proprio stare buono. Lui si ferma e ascolta. Quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione il bambino scoppia a piangere e piange forte, tant’è che i genitori sono costretti a uscire dalla Chiesa. Una volta usciti i genitori gli chiedono perché piangeva in quel modo e lui, con la semplicità dei bambini, risponde: «Ma non avete sentito anche voi? Gesù stava per morire e parlava del suo sangue!». Quel bambino aveva capito più di tutti. Alle sue orecchie quelle parole: «Prendete, mangiate; prendete, bevete; questo è il mio corpo; questo è il mio sangue», non erano parole comuni. Anche noi ascoltiamo queste parole ogni volta che partecipiamo alla celebrazione Eucaristica; ma che effetto ci fanno? Riusciamo ad essere consapevoli che Cristo ha donato a noi il suo Corpo e il suo Sangue?

Cirillo di Gerusalemme dice che «noi partecipiamo, in qualche modo, al Corpo e al Sangue di Cristo. Perché sotto il segno del pane ci è donato il corpo e sotto il segno del vino ci è donato il sangue di Cristo, perché diventi un solo corpo e un solo sangue con il Cristo. Così diventiamo portatori di Cristo, perché il suo Corpo e il suo Sangue si diffondono nelle nostre membra». Infatti al sacerdote, al diacono, all’accolito o al ministro straordinario dell’Eucaristia che ci offre il pane dicendo: «Il Corpo di Cristo», noi rispondiamo: «Amen!». E questo «Amen!» può riassumere tutta la nostra fede, tutto il nostro condividere i piani di Dio su di noi e sull’umanità. Lasciamoci anche noi stupire dalla presenza del Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, che è presente in mezzo a noi in quel piccolo pezzo di pane!

Ebbene, al termine di questa solenne celebrazione Eucaristica, anche se a causa della pandemia non potremo attraversare le strade della nostra città, del nostro paese, ricordiamoci che Gesù c’è ed è sempre con noi. Il Risorto infatti ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). E a Gesù Eucaristia oggi diciamo: «Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, pietà di noi; nutrici, difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi!». Amen.

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