Commento al Vangelo della solennità dell’Epifania Anno B (6 gennaio 2024)

Prostratisi lo adorarono!

San Matteo nel suo Vangelo scrive: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono». Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d’Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone «che hanno fame e sete della giustizia» (cf Mt 5,6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio – si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.

Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori – essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s’inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode – quel Re dal quale si erano recati – con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l’esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.

Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell’Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cf Mt 26,53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell’amore, che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina, che poi si oppone all’ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso – è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.

Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali – oroincenso e mirra – doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L’adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell’adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall’Oriente seguivano senz’altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall’alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d’essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.

Ebbene, domandiamoci che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall’Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi – noti o sconosciuti – mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l’hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l’hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare – magari nel dolore – la parola pronunciata da Dio al termine dell’opera della creazione: «È cosa buona». Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d’Assisi, Santa Teresa d’Avila, Sant’Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell’Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo – Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa «adorare», e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.

I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l’intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d’orientamento. L’assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l’uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?

Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l’odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell’Oriente l’hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.

Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l’ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo.

«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono». Ebbene sì. Questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell’Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cf Gv 12,24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Chiediamo prostrati al Re dei re, per intercessione della sua Santissima Madre, di guidarci nel nostro pellegrinaggio terreno. Amen!

  

Beata Vergine Maria del Monte Carmelo

La devozione alla Vergine Maria del Monte Carmelo è antichissima e raccoglie la spiritualità dei cristiani d’Oriente.

La festa liturgica fu istituita per commemorare l’apparizione del 16 luglio 1251 a san Simone Stock, all’epoca priore generale dell’Ordine carmelitano, durante la quale la Madonna gli consegnò uno scapolare (dal latino scapula, spalla) in tessuto, rivelandogli notevoli privilegi connessi al suo culto e gli disse: ‘Questo è il privilegio per te ed i tuoi: chiunque morirà rivestendolo sarà salvo“.

Lo scapolare, un tempo, era formato da  una parte dell’abito che rivestiva e tutt’ora riveste il religioso carmelitano. Questo nel corso del tempo per praticità si è trasformato in due lembi di stoffa che tengono unite le immagini del Sacro Cuore di Gesù e della Madonna del Carmelo.

Ben presto ciò divenne il tratto caratteristico dell’Ordine e chiunque lo indossa è raggiunto dal cosiddetto privilegio sabatino, ovvero la Vergine libererà dal Purgatorio le anime  devote al santo scapolare, nel primo sabato dopo la dipartita.

San Giovanni Paolo II, sotto la talare, indossava lo scapolare e molti Pontefici hanno ricordato l’importanza di questa bella devozione nella vita della Chiesa.

Nelle apparizioni di Fatima, ed in modo speciale in quella del 13 ottobre 1917, la Madonna si mostrerà come Madonna del Carmelo che tiene in mano lo scapolare.

Suor Lucia, dopo le apparizioni, diverrà religiosa carmelitana.

Ovviamente, il cuore della spiritualità allo Scapolare è la Madonna ed il suo devoto è tenuto ad amare, onorare ed imitare la Vergine, nella propria vita, con una devozione autentica e profonda.

San Simone Stock spirò il 16 luglio 1265 a Bordeuax, in visita ad una delle comunità carmelitane contemplando la celeste visione del cielo.

A san Simone, dunque, si deve la diffusione di questa bella devozione che riporta l’uomo a sentirsi figlio in quanto amato da una così grande Madre, che lo salva dai pericoli donandogli la vita eterna che non ha fine ma solo inizio.

La morte di san Charbel e il liquido profumato

San Charbel morì la vigilia di Natale del 1898, mentre celebrava la messa. Nevicava e tutte le strade per l’eremo erano innevate e nessuno del monastero poteva informare gli abitanti del villaggio della morte dell’eremita.
Eppure successe una cosa strana. Quello stesso giorno ogni abitante del villaggio sperimentò l’intima credenza che padre Charbel era stato chiamato in cielo.
I giovani si avviarono con le pale a sgombrare la neve per l’eremo e raggiungere la salma al monastero di Annaya
“Abbiamo perso una stella splendente che proteggeva il nostro Ordine, la Chiesa e tutto il Libano con la sua santità” scrive il Priore. “Preghiamo perché Dio renda Charbel nostro patrono, che veglierà su di noi e ci farà da guida nelle tenebre della nostra vita terrena”.

Il giorno di Natale, padre Charbel è stato sepolto in una fossa comune del monastero.
La notte seguente una misteriosa luce brillante divenne visibile in tutta la valle.
Ha continuato a brillare per quarantacinque notti.
La tomba è stata aperta alla presenza di un medico e di altri testimoni ufficiali. Seppur coperto di fango umido, il corpo riesumato era perfettamente conservato.
La salma è stata quindi sottoposta a esami medici, che hanno confermato che era esente da segni di decomposizione; inoltre, emana un meraviglioso aroma e un fluido di origine sconosciuta (una miscela di plasma e sangue).

Fino ad oggi, il fluido ha continuato a fuoriuscire dal corpo del Santo come segno del potere guaritore di Cristo.

Il corpo di padre Charbel fu lavato, vestito con abiti freschi, deposto in una bara aperta e riposto in una stanza del monastero chiusa al pubblico.
A causa del fluido che fuoriusciva costantemente dal corpo, i monaci dovevano cambiare le vesti del Santo ogni due settimane.
Fu solo il 24 maggio 1927 che i resti mortali dell’eremita furono deposti in una bara di metallo e trasferiti in una tomba di marmo nella chiesa del monastero.

Nel 1950 un misterioso fluido continuava a fuoriuscire dalla tomba. Il Patriarca maronita, allora, fece aprire la tomba e riesumare la salma. Ciò è stato eseguito alla presenza di una commissione medica, rappresentanti della chiesa e funzionari della città.
Il Santo si presenta in uno stato di perfetta conservazione. In effetti, il fluido che filtrava costantemente dal suo corpo aveva corroso la bara di metallo e si era fatto strada attraverso il marmo della tomba.
Anche in questo caso il corpo di San Charbel fu lavato, vestito con abiti nuovi e mostrato al pubblico.
Quell’anno ad Annaya si notò un numero record di guarigioni e conversioni miracolose.
Il monastero divenne il punto focale dei pellegrinaggi, non solo dei cristiani, ma anche dei musulmani e di altre fedi.

Il 7 agosto 1952 la tomba è stata nuovamente aperta alla presenza del Superiore Generale.
Una grande folla aspettava commossa di rivedere il corpo del santo monaco.

Quando la bara fu aperta davanti a molti occhi, credenti e non credenti, il popolo vide che il corpo di San Charbel era incorrotto e che il suo volto era sereno.

I paramenti, invece, erano saturati, e quindi furono tolti e messi i nuovi, così come il materassino sotto il suo corpo era marcito a causa di tutta la sostanza profumata che il suo corpo emanava.

Commento al Vangelo nella solennità dell’Epifania Anno C (6 gennaio 2022)

Abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo

L’Epifania è una festa importante nel ciclo liturgico del Natale perché è la manifestazione di Gesù a tutti i popoli, simbolicamente rappresentati dai Magi, che offrono oro (che significa regalità di Cristo), incenso (divinità di Gesù), mirra (umanità del Signore). Il termina epifania deriva dal greco antico epifàneia (manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina).

Il brano evangelico, che narra questa manifestazione, inizia dicendo: «Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode». L’episodio avviene «al tempo del re Erode», ma il suo tempo sta per scadere, perché il tempo appartiene a Dio e chi pensa di diventarne padrone si illude. Erode, all’udire della nascita di Gesù, si sente minacciato: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? […] All’udire questo, il re Erode restò turbato». Erode non voleva questo nuovo re. Egli credeva soltanto in se stesso e pensava a proteggere il suo potere. Questo nuovo re che era nato, chiunque egli fosse, era considerato un suo antagonista e per questo doveva morire. Dunque, da politico astuto, nasconde il suo progetto omicida e con molta diplomazia si rivolge ai Magi, che aveva fatto chiamare segretamente, e dice loro: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Erode invia i Magi ma lui non si impegna e non si muove a cercare Gesù, come non si muovono i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo i quali erano a conoscenza della profezia. Infatti, costoro, riuniti dal re per sapere il luogo dove doveva nascere il Cristo risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Invece i Magi, sapienti che scrutavano e meditavano i segni della natura, si sono mossi. Hanno compiuto un lungo e faticoso viaggio. Da oriente sono venuti a Gerusalemme seguendo la sola luce di una stella e alla fine hanno trovato il figlio di Dio nato da Maria. L’evangelista Luca dice che: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, si prostrarono e lo adorarono». Questa è la frase centrale del brano evangelico perché riguarda l’incontro dei Magi con Gesù.

Erode è l’uomo che vive soltanto per sé, è l’uomo senza Dio, senza umiltà, pieno di orgoglio. I capi dei sacerdoti e gli scribi sono coloro che pur conoscendo la verità restano prigionieri di un passato che non apre al futuro, alla novità che Dio mette davanti ai loro occhi. Sono persone che assecondano il loro padrone e per questo sono persone non libere e non vive. I Magi, invece, osservano il cielo, vedono una stella, splendente, e sentono che devono muoversi e lo fanno, perché quella stella indica loro una strada da percorrere. Hanno sopportato la fatica del viaggio con tutti i dubbi e le incertezze che esso ha comportato, e hanno gustato, infine, la gioia di vedere il bambino: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

In tutti noi c’è il bisogno di conoscere il Signore, e questo bisogno lo ha messo Dio dentro di noi. Sono tanti i modi attraverso i quali Dio si fa sentire, bussa alla nostra porta. Spesso diciamo che siamo alla ricerca di Dio, in realtà è Dio per primo che è alla ricerca di noi.

Questa ricerca di Dio comporta fatica. I pastori devono vincere il torpore della notte, liberarsi dal tepore dei loro mantelli, incamminarsi nella notte, fidarsi di voci che potrebbero essere anche suggestioni. Per i Magi il cammino è più duro: a volte la stella si oscura, scompare alla loro vista, incontrano persone che «sanno», ma che rimangono nell’indifferenza o che, pur turbate, non si uniscono a loro nella ricerca del neonato re dei giudei. Anche per noi ci sono momenti di buio, di paura, di turbamento, di dubbio. Si può rimanere nella nostra religiosità, nei nostri riti, nelle nostre comodità senza muoverci. Perché muoverci? Perché rischiare? Se non ci muoviamo e se non cambiamo vita vivremo nei nostri pregiudizi, nel nostro egoismo, nel nostro orgoglio. Se non adoriamo Dio, e solo Dio, non saremo mai un segno di Dio per il mondo. Chiediamoci: siamo una epifania-manifestazione di Dio? Siamo un segno del vero ed unico Dio, che è umile, povero, mite e paziente?

I Magi obbediscono all’angelo perché sanno distinguere la verità dalla falsità e percorrono una nuova strada per tornare alla loro terra: «Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». Noi sappiamo distinguere il bene dal male? San Paolo nella lettera ai Romani scrive: «in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 18-19). I Magi non hanno avuto difficoltà ad inginocchiarsi davanti a quel bambino e ad offrirgli dei doni molto preziosi. Noi davanti a chi ci inginocchiamo? Davanti a Dio o davanti agli uomini? Davanti al Re dei re o davanti al denaro?

Coraggiosamente togliamo il lievito di Erode dalla nostra vita, rinunciamo al potere, all’orgoglio, al piacere personale, agli agi e alle comodità e – come dice il profeta Isaia (I Lettura): «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te».

Commento al Vangelo dell’Epifania Anno B (6 gennaio 2021)

Prendiamo una nuova via

Ciò che noi Latini indichiamo col termine apparizione oppure manifestazione, i Greci lo chiamano epifania. A questo giorno si è dato questo nome proprio perché il nostro Signore e Salvatore si è manifestato in pubblico. Sant’Agostino in merito alla solennità odierna diceva: «Da pochissimi giorni abbiamo celebrato il Natale del Signore, in questo giorno celebriamo con non minore solennità la sua manifestazione, con la quale cominciò a farsi conoscere ai pagani… I pastori giudei sono stati condotti a lui dall’annuncio di un angelo, i magi pagani dall’apparizione di una stella». Oggi, dunque, celebriamo l’universalità della chiesa!

Seguiamo ora da vicino il racconto evangelico della venuta dei magi a Betlemme. Nel racconto emergono con chiarezza tre reazioni diverse all’annuncio della nascita di Gesù: quella dei magi, quella di Erode e quella dei sacerdoti. Iniziamo da Erode. Egli, appena saputa la cosa «restò turbato» e, annota l’evangelista, «Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo». Questa convocazione, ovviamente, era stata fatta non per conoscere la verità, bensì per ordire un inganno. Questa intenzione si manifesta nella raccomandazione finale di andare e poi tornare a riferirgli: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Il suo progetto era quello di trasformare i magi da messaggeri in spie.

Erode rappresenta la persona che ha già fatto la sua scelta. Tra la volontà di Dio e la sua, egli ha chiaramente scelto la sua. Egli non vede che il proprio tornaconto, ed è deciso a stroncare qualsiasi cosa minacci di turbare questo stato di cose. È animato da quello che Agostino chiama «l’amore di sé che all’occasione può giungere fino al disprezzo di Dio». Probabilmente pensa perfino di fare il suo dovere, difendendo la sua regalità, il suo casato, il bene della nazione. Anche ordinare la strage degli innocenti doveva sembrargli, come a tanti altri dittatori della storia, una misura richiesta dal bene pubblico, moralmente giustificata. Da questo punto di vista il mondo è pieno anche oggi di «Erodi». Per essi non c’è «epifania», manifestazione di Dio, che basti. Sono «accecati», non vedono perché non vogliono vedere. Solo un miracolo della grazia può spezzare questa corazza di egoismo!

Passiamo ora all’atteggiamento dei sacerdoti. Consultati da Erode per sapere dove sarebbe nato il Messia, i sommi sacerdoti e gli scribi non hanno esitazione nel rispondere: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Essi sanno dove è nato il Messia; sono in grado di indicarlo anche gli altri; ma non si muovono. Non vanno di corsa a Betlemme, come ci si sarebbe aspettato da persone che non aspettavano altro che la venuta del Messia, ma restano comodamente nelle loro case, nella città di Gerusalemme. Essi, diceva Agostino in un altro discorso per l’Epifania, si comportano come le pietre miliari (oggi diremmo come gli indicatori stradali): indicano la strada, ma non si muovono di un dito. L’atteggiamento dei sommi sacerdoti e degli scribi ci deve far riflettere. Questi sapevano che Gesù si trovava a Betlemme, «la più piccola borgata della Giudea»; noi sappiamo che Gesù si trova tra i poveri, gli umili, i sofferenti… Però, anche noi, assumiamo lo stesso comportamento dei sommi sacerdoti e degli scribi: «non ci muoviamo»!

E veniamo finalmente ai protagonisti di questa festa, i magi. Dio si è rivelato ad essi, come è solito fare, dall’interno della loro esperienza, utilizzando i mezzi che avevano a disposizione; nel loro caso, l’abitudine di scrutare il cielo. Essi non hanno posto indugio, si sono messi in cammino; hanno lasciato la sicurezza che viene dal muoversi nel proprio ambiente, tra gente conosciuta e che li riveriva. Essi dicono con semplicità: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Qui sta la grande lezione di questi tre sapienti. Essi hanno agito di conseguenza, non hanno frapposto indugio. Se si fossero messi a calcolare uno ad uno i pericoli, le incognite del viaggio, avrebbero perso la determinazione iniziale e si sarebbero persi in vane e sterili considerazioni. I magi hanno agito subito, si sono messi immediatamente in cammino.

Matteo scrive che appena giunsero al luogo dove si trovava il bambino essi entrarono «nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono». I magi conoscevano bene cosa significava «adorare», fare la proskynesis, perché la pratica era nata proprio tra loro, nelle corti d’oriente. Significava tributare il massimo onore possibile, riconoscere a uno la sovranità assoluta. Il gesto era riservato perciò solo ed esclusivamente al sovrano. Questo adorare da parte dei magi è il primo, implicito ma chiarissimo, riconoscimento della divinità di Cristo. Anche oggi l’adorazione è l’omaggio che riserviamo solo a Dio. Noi onoriamo, veneriamo, lodiamo, benediciamo la Madonna e i Santi, ma non li adoriamo. Questo è un onore che si può tributare solo alle tre Persone divine.

L’evangelista, inoltre, racconta che questi tre sapienti «aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» Il significato di oroincenso e mirra è questo: l’oro perché è il dono riservato ai Re e Gesù è il Re dei Re; l’incenso, come testimonianza di adorazione alla sua divinità, perché Gesù è Dio; la mirra, una resina usata nel culto dei morti, perché Gesù è uomo e come uomo, mortale.

Ed infine Matteo conclude il racconto scrivendo che «Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». Ciò significa che una volta incontrato Cristo, non si può più tornare indietro per la stessa strada. Cambiando vita, si cambia via. L’incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento radicale delle nostre abitudini.

Ebbene, in questa festa dell’Epifania la parola di Dio ci ha posto davanti tre esemplari che rappresentano ognuno una scelta di vita: Erode, i sacerdoti, i magi. A quale vogliamo somigliare nella vita?

Concludo con le parole con cui il santo vescovo Agostino terminava uno dei suoi discorsi dell’Epifania: «Anche noi siamo stati condotti ad adorare Cristo dalla verità che risplende nel vangelo, come da stella nel cielo; anche noi, riconoscendo e lodando Cristo nostro re e sacerdote, morto per noi, lo abbiamo onorato come con oro, incenso e mirra. Ci manca ora soltanto di testimoniarlo, prendendo una nuova via, ritornando da una via diversa da quella per la quale siamo venuti».

La “dormitio Virginis” e la sua assunzione al cielo

Per essere stata la Madre di Gesù, Figlio Unigenito di Dio, e per essere stata preservata dalla macchia del peccato, Maria, come Gesù, fu risuscitata da Dio per la vita eterna. Maria fu la prima, dopo Cristo, a sperimentare la risurrezione ed è anticipazione della risurrezione della carne che per tutti gli altri uomini avverrà dopo il Giudizio finale.

La “dormitio Virginis” e l’assunzione, in Oriente e in Occidente, sono fra le più antiche feste mariane. Fu papa Pio XII il 1° novembre del 1950, Anno Santo, a proclamare solennemente per la Chiesa cattolica come dogma di fede l’ Assunzione della Vergine Maria al cielo con la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus: «Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo. Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica».

La Chiesa ortodossa e la Chiesa apostolica armena celebrano il 15 agosto la festa della Dormizione di Maria.

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