Commento al Vangelo nella solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo Anno C (29 maggio 2022)

Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?

Nelle letture della solennità dell’Ascensione abbiamo ascoltato per due volte (I lettura e Vangelo) il racconto dell’esodo di Gesù da questo mondo al Padre. Dopo quaranta giorni dalla sua resurrezione, Gesù si distacca dai discepoli, «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi».

Tutti vorremmo, se fosse possibile, vedere Cristo con i nostri occhi; tutti, come Tommaso, vorremmo toccare le sue ferite con le nostre mani per appoggiarci alla sicurezza della sua presenza. Chi di noi non desidererebbe vedere il Signore?

Negli Atti degli Apostoli viene posta a Gesù una domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Questa domanda è la stessa delle prime comunità, le quali attendevano come imminente il ritorno del Signore Gesù. Il Risorto, in modo fin troppo chiaro, risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Ciò significa che come gli apostoli e le prime comunità così anche noi siamo invitati ad assumere consapevolmente e attivamente la prosecuzione della missione di Gesù: portare insieme a lui con la forza dello Spirito il Vangelo fino ai confini del mondo e alla fine della storia. Ecco il senso della festa di oggi. Con l’Ascensione di Gesù accade ciò che avviene a ogni bambino, quando la mamma improvvisamente stacca le sue braccia e lo lascia camminare da solo. Infatti con l’Ascensione di Gesù è nata la missione della Chiesa.

Luca scrive che mentre Cristo Signore veniva elevato in alto e gli apostoli guardavano fisso il cielo mentre egli se ne andava, all’improvviso si presentarono a loro due uomini in bianche vesti che dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Si faccia attenzione: questo non è un invito a guardare solo le cose della terra, ma un monito a non cercare più quella presenza fisica di Gesù di cui i discepoli hanno fatto esperienza nella storia. Gesù non va cercato presso la tomba vuota, né alzando gli occhi verso l’alto per carpire un’apparizione; egli va cercato, oggi come allora, nella comunità cristiana, nell’eucaristia, nelle donne e negli uomini che, in condizione di ultimi, attendono da noi di essere amati; è in costoro che Gesù ha voluto rendersi presente (cf Mt 25, 31-46).

L’ascensione di Gesù al cielo significa, dunque, che egli si separa dai suoi e si assenta da questa terra e, per tale motivo, il Risorto non può più essere visto né nella carne né nella sua forma gloriosa. Tale distacco prelude però a una nuova forma di presenza da parte di Gesù presso la sua comunità, così che i credenti in lui non restano soli, «orfani» (cf Gv 14, 18): per questo nel salire al cielo benedice i discepoli: «alzate le mani, li benedisse».

Anche noi, come gli apostoli, abbiamo il compito di annunciare la Buona Novella. Seguire Gesù significa vivere come lui. Noi ci impegniamo ad annunciare il Vangelo? Ci sforziamo a mettere in pratica ciò che Gesù ha detto e vivere come lui? Siamo cristiani non per quello che diciamo, ma per quello che facciamo. Mettiamoci davanti al Signore e facendo un attento esame di coscienza domandiamoci: “mi comporto da vero cristiano?”. Non dobbiamo solo predicare ma anche mettere in pratica! Solo se concretizziamo ciò che diciamo, saremo sale della terra e luce del mondo.

Come i Dodici dopo l’ascensione di Gesù erano pieni di gioia, anche noi oggi dobbiamo essere gioiosi e non spaventarci delle proprie debolezze e infermità spirituali; lasciamoci guidare dallo Spirito Santo. Nel quarto vangelo Giovanni scrive che Gesù ha affermato: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (cf Gv 16, 7; 14-16).

Commento al Vangelo della I Domenica di Quaresima Anno C (6 marzo 2022)

Resta con noi, Signore, nell’ ora della prova

Inizia la Quaresima, tempo forte dell’anno liturgico, tempo di grazia per noi cristiani, tempo favorevole che ci richiama alla conversione, alla riconciliazione, ad un ritorno a Dio. La Quaresima ci fa riscoprire la nostra situazione di infedeltà o di non piena aderenza al vangelo e perciò ci richiama a riflettere sulle scelte che spesso facciamo. A volte – purtroppo – ci comportiamo in maniera diversa da ciò che il Signore ci dice; ci comportiamo e viviamo come se il Signore non esistesse! Abbiamo bisogno di impostare meglio la nostra vita orientandola verso il Signore e, per tale motivo, tutti siamo invitati a convertirci. La parola conversione in latino significa: «voltarsi, tornare sui propri passi»; in greco invece: «cambiamento, trasformazione». Conversione, dunque, per noi, significa che dobbiamo volgere il nostro sguardo al Signore che spesso dimentichiamo! Quante volte voltiamo le spalle al Signore! Quante volte ci lasciamo sedurre dalla tentazione! Fino a quando non ci comporteremo secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù non possiamo dichiararci pentiti e convertiti. Il nostro pellegrinaggio terreno è un tempo di lotta spirituale, cioè di autenticità verso noi stessi e verso Dio.

Il vangelo di questa prima domenica di Quaresima ci parla delle tentazioni che Gesù affronta nel deserto. L’evangelista Luca dice: «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto».

Perché il deserto? Il deserto, da non intendere quello di sabbia, indica il silenzio, luogo di solitudine, il ritrovarsi solo davanti a Dio. Oggi il mondo ha paura del deserto, del silenzio! Viviamo in una società dove c’è tanto rumore, dove si parla di tante cose inutili e poco di Dio! Nei vangeli leggiamo che Gesù spesso cerca momenti di silenzio per pregare. Sorge spontanea una domanda: quando preghiamo, quando andiamo a messa, cerchiamo di fare silenzio? Durante la celebrazione eucaristica la liturgia prevede momenti di silenzio. Li facciamo? Quando andiamo in chiesa per partecipare alla santa messa, dovremmo andarci con lo spirito ben disposto ad ascoltare la Parola di Dio. Lo facciamo? Quando entriamo in chiesa, purtroppo, molte persone non vedono l’ora che termini il tutto. Abbiamo fretta! Non abbiamo molto tempo da dedicare al Signore! Soprattutto quando il celebrante inizia a commentare la Parola di Dio in tanti guardano continuamente l’orologio. Molti si annoiano e lo dimostrano sbadigliando! Che desolazione! Che sofferenza! Che tristezza!

Ritornando al vangelo l’evangelista annota dicendo che Gesù «per quaranta giorni, [fu] tentato dal diavolo». Questo fatto un po’ ci meraviglia: Cristo tentato! Sì, realmente Gesù è stato tentato! Il Signore Gesù non sarebbe stato pienamente uno di noi se non avesse vissuto la tentazione. Ma quali sono le tentazioni di Gesù? Luca esemplifica in numero di tre le tentazioni subite da Cristo.

La prima tentazione: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Apparentemente sembra una richiesta innocua. Invece c’è dietro una paurosa falsità: c’è l’idea che l’unico problema dell’uomo sia il pane da mangiare ossia sfamare il proprio corpo. Inoltre, la pietra, di cui ci parla Luca, rappresenta il possesso delle cose, cioè vivere la nostra vita in senso egoistico, materialista. Ci preoccupiamo di star bene più che di far bene, di avere più che di essere. Quante volte chiediamo a Dio cose superflue, insignificanti, assurde! A queste nostre richieste Dio risponde con le stesse parole dette dal suo Figlio Gesù al demonio: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».

La seconda tentazione: «Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: “Ti darò tutto questo potere e la loro gloria… se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me”». L’avversario (è il significato dell’ebraico satana) propone a Gesù il dominio sugli uomini. Prostrarsi davanti al demonio simboleggia il cedimento a seguire il padre della menzogna che propina illusioni, solleticando la sete di potere sugli altri. Il Signore Gesù non si lascia trascinare dal delirio dell’onnipotenza, dal fascino perverso del tutto e subito ed è per questo che risponde: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Purtroppo l’uomo di oggi adora non Dio ma il potere, il denaro, il successo, la gloria. Nessun uomo deve adorare un altro uomo, né farsi adorare da un altro uomo. Davanti ai potenti noi chiniamo il capo, li aduliamo. Ma l’uomo non ha capito che senza Dio non può vivere perché i beni di questo mondo rappresentano una felicità effimera, i potenti non ci salveranno. La vera felicità è Dio. Senza Dio l’uomo è dannato.

La terza tentazione: «Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Satana offre al Signore non solo il dominio sulle forze misteriose del creato, i puri spiriti, ossia gli angeli, ma anche il successo. Buttarsi giù dal punto più alto del tempio indica un gesto straordinario che avrebbe indotto la gente a credere in lui. Al demonio che gli cita una frase tratta dai Salmi, Gesù risponde: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Ebbene, tentato dal divisore (è il significato del termine greco diavolo, colui che vuol dividere l’uomo da Dio), Gesù reagisce attraverso un atteggiamento di radicale obbedienza a Dio e soprattutto resta con i piedi per terra. Gesù, infatti, risponde al Tentatore citando, per ben tre volte, il libro del Deuteronomio.

Il demonio cerca di strumentalizzare la Parola, ci tenta, ci seduce. San Pietro nella prima lettera scrive: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede» (1Pt 5, 8-9). Purtroppo la nostra fede spesso è vacillante per questo il cristiano deve lottare, essere temperante e vigilare ogni giorno.

Chiediamo al Signore di restare con noi nell’ ora della prova e cerchiamo di credere più in Dio e meno in noi stessi perché, scrive san Paolo: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (II Lettura).

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