Commento al Vangelo della XXI Domenica del Tempo Ordinario Anno A (27 agosto 2023)

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!

Il Vangelo di questa domenica ci riporta un passaggio-chiave nel cammino di Gesù con i suoi discepoli: il momento in cui Egli vuole verificare a che punto è la loro fede in Lui. Prima vuole sapere che cosa pensa di Lui la gente: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»; e i discepoli, annota l’evangelista, rispondono: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Vale a dire che la gente pensa che Gesù sia un profeta, cosa che è vera, ma non coglie il centro della sua Persona, non coglie il centro della sua missione. Poi, pone ai discepoli la domanda che gli sta più a cuore, cioè chiede loro direttamente: «Ma voi, chi dite che io sia?». E con quel «ma» Gesù stacca decisamente gli Apostoli dalla massa, come a dire: ma voi, che siete con me ogni giorno e mi conoscete da vicino, che cosa avete colto di più? Il Maestro aspetta dai suoi una risposta differente rispetto a quelle dell’opinione pubblica. Anche oggi Cristo si rivolge a noi con la stessa domanda che fece agli apostoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». Da veri cristiani rispondiamogli con generosità e audacia. Diciamogli: Gesù, io so che hai dato la tua vita per me. Voglio seguirti con fedeltà e lasciarmi guidare dalla tua parola. Tu mi conosci e mi ami. Io mi fido di te e metto la mia intera vita nelle tue mani. Voglio che Tu sia la forza che mi sostiene, la gioia che mai mi abbandona. Io so che «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Sì! Simon Pietro, con quella confessione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», si ritrova sulle labbra parole più grandi di lui, parole che non vengono dalle sue capacità naturali ma che sono ispirate dal Padre celeste. L’evangelista Matteo scrive che Gesù, rivolgendosi a Simon Pietro gli dice: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Dio Padre ha rivelato al primo dei Dodici la vera identità di Gesù: Egli è il Messia, il Figlio di Dio, colui che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Colui che un giorno verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti. E da questa risposta, Gesù capisce che, grazie alla fede donata dal Padre, c’è un fondamento solido su cui può costruire la sua comunità, la sua Chiesa. Perciò dice a Simone: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Anche con noi, oggi, Gesù vuole continuare a costruire la sua Chiesa, questa casa con fondamenta solide ma dove non mancano le crepe, e che ha continuo bisogno di essere riparata. La Chiesa non è una semplice istituzione umana, come qualsiasi altra, ma è strettamente unita a Dio. Lo stesso Cristo si riferisce ad essa come alla «sua» Chiesa. Non è possibile separare Cristo dalla Chiesa, come non si può separare la testa dal corpo (cf 1Cor 12,12). La Chiesa non vive di se stessa, bensì del Signore. Egli è presente in mezzo ad essa, e le dà vita, alimento e forza.

Noi certamente non ci sentiamo delle rocce, ma solo delle piccole pietre. Tuttavia, nessuna piccola pietra è inutile, anzi, nelle mani di Gesù la più piccola pietra diventa preziosa, perché Lui la raccoglie, la guarda con grande tenerezza, la lavora con il suo Spirito, e la colloca nel posto giusto, che Lui da sempre ha pensato e dove può essere più utile all’intera costruzione. Ognuno di noi è una piccola pietra, ma nelle mani di Gesù partecipa alla costruzione della Chiesa. E tutti noi, per quanto piccoli, siamo resi “pietre vive”, perché quando Gesù prende in mano la sua pietra, la fa sua, la rende viva, piena di vita, piena di vita dallo Spirito Santo, piena di vita dal suo amore, e così abbiamo un posto e una missione nella Chiesa: essa è comunità di vita, fatta di tantissime pietre, tutte diverse, che formano un unico edificio nel segno della fraternità e della comunione.

Inoltre, il Vangelo di oggi ci ricorda che Gesù ha voluto per la sua Chiesa anche un «centro visibile di comunione in Pietro» – anche lui, non è una grande pietra, è una piccola pietra, ma presa da Gesù diventa centro di comunione – in Pietro e in coloro che gli sarebbero succeduti nella stessa responsabilità primaziale, che fin dalle origini sono stati identificati nei Vescovi di Roma, la città dove i santi apostoli Pietro e Paolo hanno reso la testimonianza del sangue.

Affidiamoci a Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa. Lei era nel cenacolo, accanto a Pietro, quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli e li spinse ad uscire, ad annunciare a tutti che Gesù è il Signore. Chiediamo a Maria di benedire e sostenere il Papa perché, come Successore di Pietro, possa proseguire il suo ministero di pastore universale della Chiesa confermando i suoi fratelli nella fede. Ed infine, invochiamo la nostra Mamma celeste affinché ci sostenga e ci accompagni con la sua intercessione, perché realizziamo pienamente quell’unità e quella comunione per cui Cristo e gli Apostoli hanno pregato e hanno dato la vita. Amen!

 

SCALA SALITA DA GESÙ PER ANDARE DA PONZIO PILATO

Si tratta della “Scala Santa”, con i suoi ventotto gradini, che si trova di fronte alla Basilica di San Giovanni in Laterano. Sono le scale marmoree del Pretorio di Ponzio Pilato, che secondo la tradizione Gesù salì per ben due volte per essere presentato al popolo dopo essere stato flagellato. I gradini furono portati a Roma nel IV secolo da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino.

Le scale si salgono in ginocchio e, preferibilmente, in preghiera, tra un gradino e l’altro.

Il Sommo Pontefice san Pio X, il 26 febbraio 1908, concesse l’indulgenza plenaria a coloro che salivano le scale in ginocchio dopo essersi confessati e comunicati.

Quo vadis, Domine?

La tradizione racconta che Pietro lasciò Roma su insistenza di alcuni suoi amici, per proteggersi dopo la persecuzione scatenata contro i cristiani, che l’imperatore Nerone aveva accusato dell’incendio della città nell’anno 64 d.C.

Nella sua fuga lungo la via Appia, incontrò Gesù, che andava in direzione opposta, portando la croce, alla quale Pietro gli chiese: “Quo vadis, Domine?”, cioè: “Dove vai, Signore?” , e Gesù rispose: “Il mio popolo a Roma ha bisogno di te, se abbandoni le mie pecore andrò a Roma per essere nuovamente crocifisso”.

Pieno di vergogna, Pietro tornò a Roma per stare con la Chiesa perseguitata, per la quale fu poi imprigionato e crocifisso, sul colle Vaticano, a testa in giù, a testimoniare Gesù Cristo.

San Pio V

Papa Pio V, al secolo Antonio (in religione MicheleGhislieri (Bosco Marengo17 gennaio 1504 – Roma1º maggio 1572), è stato il 225º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, sovrano dello Stato Pontificio, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice, dal 7 gennaio 1566 alla sua morte. Teologo e inquisitore domenicano, operò per la riforma della Chiesa secondo i dettami del Concilio di Trento. Con san Carlo Borromeo e sant’Ignazio di Loyola è considerato tra i principali artefici e promotori della Controriforma. Durante il suo pontificato furono pubblicati il nuovo Messale romano, il Breviario e il Catechismo, furono intraprese le revisioni della Vulgata e del Corpus Iuris Canonici.

Intransigente tanto nel governo dello Stato Pontificio quanto nella politica estera, fondò la sua azione sulla difesa del Cattolicesimo dall’eresia e sull’ampliamento dei diritti giurisdizionali della Chiesa; nel tentativo di favorire l’ascesa al trono inglese della cattolica Maria Stuart, scomunicò Elisabetta I d’Inghilterra.

La sua figura è legata alla costituzione della Lega Santa e alla vittoriosa Battaglia di Lepanto (1571). Fu beatificato nel 1672 da papa Clemente X e canonizzato il 22 maggio 1712 da papa Clemente XI.

Commento al Vangelo della XXXIV Domenica del Tempo Ordinario Anno B – Solennità di Cristo Re dell’Universo (21 novembre 2021)

Tu lo dici: io sono re

L’anno liturgico si conclude con la celebrazione della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo che, risorto da morte e asceso al cielo, ha ricevuto dal Padre «ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28, 18). È lui «l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» (Ap 21, 6; 1, 8; 22, 13); è lui che «verrà nella gloria e il cui regno non avrà fine», come affermiamo nella professione di fede. Ma in che cosa consiste la “regalità” di Cristo Signore? Il brano del Vangelo che la Liturgia della Parola oggi ci propone, ci dà la risposta.

L’evangelista Giovanni ci parla di un uomo debolissimo, spogliato di tutto, povero, la cui vita dipende interamente da altri. Come si può pensare che un uomo in quelle condizioni potesse essere re? Non ha un aspetto di potenza. Nella società di oggi quello che conta è ciò che appare, come possiamo, quindi, credere ad un uomo che esteriormente mostra il contrario? Noi cerchiamo i potenti, le persone che contano, spesso li corteggiamo, li aduliamo perché pensiamo che possano aiutarci, proteggerci, farci fare carriera. A volte, è vero, possono aiutarci ma ricordiamoci del salmo 117 (118) dove si legge: «È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti».

Quando Pilato, che rappresenta una regalità terrena e politica, gli dice: «Dunque tu sei re?», Gesù, con molta semplicità risponde: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Vangelo). Gesù, dunque, afferma di essere re. Però la regalità di Cristo è una regalità umanamente incomprensibile, paradossale, contradetta e rifiutata, perché viene dall’alto. La regalità di Cristo non è il potere del comando tanto è vero che quando Gesù risponde a Pilato dicendo: «Il mio regno non è di questo mondo» è come se volesse dire: “Io rifiuto il potere, come lo intendete voi uomini; io condanno il potere, come lo cercate voi uomini. Io sconfiggo il potere, consegnandomi come uno schiavo. Sì, sconfiggo il potere! Però sia ben chiaro: Io sono re! Il re dell’Amore; il re della Misericordia; il re del Servizio. Questa è la vera regalità. E questa è la vittoria è di Dio”. La potenza di Cristo Signore, dunque, è quella dell’Amore, del Servizio e della Misericordia. Per questo lui è il più forte di tutti i forti e i potenti della terra; per questo è re dell’universo e il suo regno non sarà mai distrutto.

Il profeta Daniele, a proposito delle sue visioni, parla di un figlio d’uomo (Gesù si è presentato come il Figlio dell’uomo) che viene sulle nubi del cielo, cioè dal mondo divino, e a lui «furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai» (I Lettura). Anche l’evangelista Giovanni, nel libro dell’Apocalisse scrive che: «Gesù Cristo è il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue… a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (II Lettura).

La regalità di Gesù Cristo, quindi, si rivela nel dono della vita: egli ha esercitato solamente il potere dell’Amore, della Misericordia, del Servizio. Essere discepoli di Gesù, quindi, vuol dire donare completamente la propria esistenza per il bene dei fratelli, servendo fedelmente il Vangelo. Siamo pronti a seguire Cristo completamente? Non è forse vero che tante volte abbiamo un’idea troppo alta di noi stessi e che mettiamo in risalto solo i nostri diritti? Abbiamo veramente bisogno della grazia di Dio per comprendere che servire è regnare e che con la vita donata ai fratelli confessiamo la nostra fedeltà a Cristo. Ci crediamo veramente? Siamo pronti? San Francesco d’Assisi ha avuto il coraggio di lasciare tutto e di seguire il Signore amando e servendo il prossimo. San Giovanni XXIII all’età di 77 anni, ha dato inizio, con il Concilio Vaticano II, alla più grande riforma della Chiesa: quella riforma che persone più giovani e più preparate non erano state capaci di decidere. Il Papa buono aveva fatto sua la strada della croce, la strada dell’umiltà, la strada del servizio. Un giorno disse al suo segretario particolare il Cardinale Loris Francesco Capovilla, venuto a mancare il 26 maggio 2016, che si dimostrava preoccupato per la decisione del Concilio Ecumenico: “Bisogna mettere il proprio io sotto i piedi. Solo così si diventa liberi”. Una piccola grande suora albanese, Santa Madre Teresa di Calcutta, contro ogni logica, è diventata, nel secolo ventesimo, il rimprovero e il conforto del mondo quando diceva: “Cristo aveva ragione quando diceva che il vero potere è amare e servire i nostri fratelli!”.

Non dobbiamo, quindi, dare agli altri il nostro amore, ma l’Amore di Dio, quell’Amore che il Padre nostro ha manifestato a noi tutti attraverso il suo Figlio Gesù che per salvarci “si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre»” (Fil 2, 8-11).

A proposito della Croce, potenza dell’Amore di Dio, don Primo Mazzolari diceva: “Fratelli, potreste inventare una civiltà senza croce, ma ricordatevi che senza la croce la nostra sarà una civiltà senza Dio, senza amore”. E, sempre parlando della croce, Papa Francesco nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, ai nn. 92-94 scrive: “La croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione…. Santifichiamoci, dunque, accettando ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità”.

PREGHIERA AI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

San Pietro Apostolo, eletto da Gesù ad essere la roccia su cui è costruita la Chiesa, benedici e proteggi il sommo Pontefice, i Vescovi e tutti i cristiani sparsi nel mondo. Concedi a noi una fede viva e un amore grande alla Chiesa.

San Paolo Apostolo, propagatore del Vangelo fra tutte le genti, benedici e aiuta i missionari nella fatica dell’evangelizzazione e concedi a noi di essere sempre testimoni del Vangelo e di adoperarci per l’avvento del regno di Cristo nel mondo. Amen.

A-DIO PADRE…

È stato prete solo per 23 giorni, dallo scorso Giovedì Santo, ma lo sarà per l’eternità.
Sereno e in compagnia della sua comunità si è spento il sacerdote africano Livinus Esomchi Nnamani, 31 anni. Dieci anni fa si era unito alla comunità religiosa della “Mater Dei” nella città di Owerri, Nigeria, per iniziare la sua formazione religiosa. Dopo la sua prima professione ha ricevuto una diagnosi che lo dichiarava affetto da leucemia, ma questo non ha fermato il suo percorso di preparazione che nel 2019 l’ha portato a Roma per proseguire la sua formazione e i suoi studi. È stata una lotta molto forte, che da qualche mese lo aveva costretto nel presidio sanitario “Medica Group Casilino” di Roma.
Da lì ha scritto personalmente a Papa Francesco il 31 marzo scorso, Mercoledì Santo. L’ha fatto quando ha visto che le forze iniziavano a mancare e gli ha chiesto la dispensa per essere ordinato sacerdote in anticipo. La risposta di Papa Francesco è stata quasi immediata, infatti è arrivata solo un paio di ore dopo tramite uno dei vescovi ausiliari di Roma, monsignor Daniele Libanori. Lo stesso presule ha incontrato il giorno dopo il Pontefice durante la Messa del Crisma, celebrata nella Basilica di San Pietro in Vaticano, ricevendone l’incarico di procedere quello stesso Giovedì Santo all’ordinazione di padre Livinus.
È stata una celebrazione molto semplice, avvenuta in ospedale, presieduta da mons. Libanori, vescovo ausiliare di Roma, alla quale hanno preso parte alcuni chierici della sua comunità religiosa e membri del personale sanitario che con affetto si sono presi cura di lui. Ha ricevuto il calice e la patena e le sue mani sono state unte con il Crisma dopo la preghiera di consacrazione che l’ha reso un alter Christus, un altro Cristo, configurato con Gesù sacerdote.
Da quel giorno, padre Livinus, ha usato le poche forze che gli restavano per celebrare la Messa dal suo letto. Ha unito il suo sacrificio a quello di Cristo, come gli aveva suggerito monsignor Libanori nel giorno dell’ordinazione. E così ha fatto fino a mercoledì scorso ad eccezione di ieri, a causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute. Consapevole di quanto gli stava accadendo, padre Livinus ha chiesto di confessarsi e ha ricevuto la santa comunione.
Stamattina il suo superiore generale e un altro sacerdote della Mater Dei hanno pregato la coroncina della misericordia accanto a lui in ospedale. Subito dopo, alle ore 11.10, padre Livinus è spirato e i suoi confratelli lo hanno affidato nelle mani della Madonna con la preghiera del Sub tuum praesidium.
La celebrazione della Messa funebre è fissata per lunedì 26 aprile, alle ore 11.00, nella parrocchia San Giovanni Leonardi, in Roma. Successivamente la sua salma sarà riportata nella sua terra.
R.I.P. PADRE LIVINUS…

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