Commento al Vangelo nella solennità del Corpus Domini Anno B (6 giugno 2021)

Lasciamoci stupire dalla presenza del Signore in mezzo a noi!

 La festa del Corpus Domini è nata in Belgio, all’inizio del XIII secolo; i monasteri benedettini furono i primi ad adottarla; il papa Urbano IV la estese a tutta la Chiesa nel 1264, anche per influsso del miracolo eucaristico di Bolsena, oggi venerato a Orvieto.

Ma che bisogno c’era di istituire una nuova festa? La Chiesa non ricorda l’istituzione dell’Eucaristia il Giovedì Santo? Non la celebra ogni Domenica e ogni giorno dell’anno? Il Corpus Domini è la prima festa che non ha per oggetto un evento della vita di Cristo, ma una verità di fede: la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia.

Per molto tempo quella del Corpus Domini fu l’unica processione in uso in tutta la cristianità e anche la più solenne. Oggi le processioni hanno ceduto il passo ai cortei (in genere, di protesta); ma se è caduta la coreografia esterna (addobbare i balconi delle proprie case esponendo le coperte più belle, ricoprire il manto stradale con fiori, fare altarini solenni, etc.), rimane intatto il senso profondo della festa e il motivo che l’ha ispirata: tenere desto lo stupore di fronte al più grande e più bello dei misteri della fede. La liturgia odierna riflette fedelmente questa caratteristica. Infatti tutti i suoi testi (letture, antifone, canti, preghiere) sono pervasi da un senso di meraviglia!

Però, se c’è un pericolo che i credenti oggi corrono nei confronti dell’Eucaristia, è quello di banalizzarla. Una volta non la si riceveva così spesso e prima di riceverla si dovevano premettere digiuno e confessione. Oggi praticamente tutti si accostano per riceverla… Ciò è molto bello perché la partecipazione alla Messa comporta anche la comunione. Tutto ciò, però, comporta un rischio mortale. San Paolo a tal proposito scrive: «chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (cf 1Cor 11,27-29).

Io credo che sia una grazia salutare per un cristiano passare attraverso un periodo di tempo in cui ha paura di accostarsi alla comunione, trema al pensiero di ciò che sta per accadere e non finisce di ripetere, come Giovanni Battista: «Tu vieni da me?» (cf Mt 3,14).

La predicazione della Chiesa non dovrebbe aver paura – ora che la comunione è diventata una cosa così abituale e così «facile» – di usare qualche volta il linguaggio dell’Epistola agli Ebrei e dire ai fedeli: «Voi non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al Dio giudice di tutti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (cf Eb 12,18-19.22-24). Nei primi tempi della Chiesa, al momento della comunione, risuonava un grido nell’assemblea: «Chi è santo si accosti, chi non lo è si penta!».

Ma non deve essere tanto la grandezza e la maestà di Dio la causa del nostro stupore di fronte al mistero eucaristico, quanto piuttosto la sua condiscendenza e il suo amore. L’Eucaristia è soprattutto questo, memoriale dell’amore di cui non esiste uno maggiore: dare la vita per i propri amici. Un giorno un bambino assisteva alla Messa con i suoi genitori. Come tutti i bimbi non faceva che muoversi e far rumore e il papà continuamente lo riprendeva per farlo stare buono. Giunti alla consacrazione il padre gli fa capire che adesso deve proprio stare buono. Lui si ferma e ascolta. Quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione il bambino scoppia a piangere e piange forte, tant’è che i genitori sono costretti a uscire dalla Chiesa. Una volta usciti i genitori gli chiedono perché piangeva in quel modo e lui, con la semplicità dei bambini, risponde: «Ma non avete sentito anche voi? Gesù stava per morire e parlava del suo sangue!». Quel bambino aveva capito più di tutti. Alle sue orecchie quelle parole: «Prendete, mangiate; prendete, bevete; questo è il mio corpo; questo è il mio sangue», non erano parole comuni. Anche noi ascoltiamo queste parole ogni volta che partecipiamo alla celebrazione Eucaristica; ma che effetto ci fanno? Riusciamo ad essere consapevoli che Cristo ha donato a noi il suo Corpo e il suo Sangue?

Cirillo di Gerusalemme dice che «noi partecipiamo, in qualche modo, al Corpo e al Sangue di Cristo. Perché sotto il segno del pane ci è donato il corpo e sotto il segno del vino ci è donato il sangue di Cristo, perché diventi un solo corpo e un solo sangue con il Cristo. Così diventiamo portatori di Cristo, perché il suo Corpo e il suo Sangue si diffondono nelle nostre membra». Infatti al sacerdote, al diacono, all’accolito o al ministro straordinario dell’Eucaristia che ci offre il pane dicendo: «Il Corpo di Cristo», noi rispondiamo: «Amen!». E questo «Amen!» può riassumere tutta la nostra fede, tutto il nostro condividere i piani di Dio su di noi e sull’umanità. Lasciamoci anche noi stupire dalla presenza del Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, che è presente in mezzo a noi in quel piccolo pezzo di pane!

Ebbene, al termine di questa solenne celebrazione Eucaristica, anche se a causa della pandemia non potremo attraversare le strade della nostra città, del nostro paese, ricordiamoci che Gesù c’è ed è sempre con noi. Il Risorto infatti ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). E a Gesù Eucaristia oggi diciamo: «Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, pietà di noi; nutrici, difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi!». Amen.

Filippo di Edimburgo: il principe che è stato sempre un passo dietro la regina.

Sorridenti, rilassati, chiaramente felici l’uno accanto all’altra. Alla vigilia del funerale del principe Filippo, la regina Elisabetta ha diffuso la sua fotografia preferita assieme al marito: un’immagine che sembra racchiudere la serenità della coppia, il piacere di stare all’aria aperta, l’armonia di famiglia. Sul volto l’espressione dolce e allegra di un pomeriggio trascorso a passeggiare. Lo scatto è stato realizzato nel 2003 da Sophie, contessa di Wessex, moglie di Edoardo e nuora della regina e del duca di Edimburgo. Se diversi membri della famiglia reale negli ultimi giorni hanno rilasciato fotografie inedite del duca di Edimburgo, l’ultima, e forse la più toccante, è spettata a lei, Elisabetta, che oggi dirà addio al compagno di una vita, l’uomo con il quale, sino a venerdì scorso, ha condiviso ogni giorno del suo regno. Dopo 73 anni insieme, la perdita di Elisabetta è immensa. Oggi al funerale, dove i Windsor saranno distanziati nel rispetto delle norme sanitarie anti Covid, Elisabetta sarà seduta lontana dalla famiglia, per la prima volta sola.

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