Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua Anno B (14 aprile 2024)

Guardaretoccaremangiare!

 Quest’oggi, terza Domenica di Pasqua, incontriamo Gesù risorto che si presenta in mezzo ai discepoli: «Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”». I discepoli, annota l’evangelista, «sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma».

Gesù si accorge che gli Apostoli sono turbati nel vederlo, che sono sconcertati perché la realtà della Risurrezione è per loro inconcepibile. Credono di vedere un fantasma; ma Gesù risorto non è un fantasma, è un uomo con corpo e anima. Per questo, per convincerli, dice loro: «Guardate le mie mani e i miei piedi – poiché la risurrezione non cancella i segni della crocifissione, Gesù mostra agli Apostoli le mani e i piedi -: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». E poiché questo non sembra bastare a vincere l’incredulità dei discepoli, per convincerli, chiede persino qualcosa da mangiare: «avete qui qualche cosa da mangiare?». Così i discepoli «gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro». San Gregorio Magno commenta che «il pesce arrostito al fuoco non significa altro che la passione di Gesù Mediatore tra Dio e gli uomini. Egli, infatti, si degnò di nascondersi nelle acque del genere umano, accettò di essere stretto nel laccio della nostra morte e fu come posto al fuoco per i dolori subiti al tempo della passione» (Hom. in Evang. XXIV, 5: CCL 141, Turnhout 1999, 201).

Grazie a questi segni molto realistici, i discepoli superano il dubbio iniziale e si aprono al dono della fede; e questa fede permette loro di capire le cose scritte sul Cristo «nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Leggiamo, infatti, che Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati… Di questo voi siete testimoni”».

Questa pagina evangelica è caratterizzata da tre verbi molto concreti, che riflettono in un certo senso la nostra vita personale e comunitaria: guardaretoccare e  mangiare. Tre azioni che possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo.

Guardare. «Guardate le mie mani e i miei piedi» – dice Gesù. Guardare non è solo vedere, è di più, comporta anche l’intenzione, la volontà. Per questo è uno dei verbi dell’amore. La mamma e il papà guardano il loro bambino, gli innamorati si guardano a vicenda; il bravo medico guarda il paziente con attenzione. Guardare è un primo passo contro l’indifferenza, contro la tentazione di girare la faccia da un’altra parte, davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri.

Il secondo verbo è toccare. Invitando i discepoli a toccarlo, per constatare che non è un fantasma – «toccatemi!» -, Gesù indica a loro e a noi che la relazione con Lui e con i nostri fratelli non può rimanere “a distanza”, non esiste un cristianesimo a distanza, non esiste un cristianesimo soltanto sul piano dello sguardo. L’amore chiede il guardare e chiede anche la vicinanza, chiede il contatto, la condivisione della vita. Il buon samaritano non si è limitato a guardare quell’uomo che ha trovato mezzo morto lungo la strada: si è fermato, si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha toccato, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e l’ha portato alla locanda. E così con Gesù stesso: amarlo significa entrare in una comunione di vita, una comunione con Lui.

E veniamo al terzo verbo, mangiare, che esprime bene la nostra umanità nella sua più naturale indigenza, cioè il bisogno di nutrirci per vivere. Ma il mangiare, quando lo facciamo insieme, in famiglia o tra amici, diventa anche espressione di amore, espressione di comunione, di festa. Quante volte i Vangeli ci presentano Gesù che vive questa dimensione conviviale! Anche da Risorto, con i suoi discepoli. Al punto che il Convito eucaristico è diventato il segno emblematico della comunità cristiana. Mangiare insieme il corpo di Cristo: questo è il centro della vita cristiana.

Ebbene, questa pagina evangelica ci dice che Gesù non è un «fantasma», ma una «Persona viva»; che Gesù quando si avvicina a noi ci riempie di gioia, ci lascia stupefatti, con quello stupore che soltanto la presenza di Dio dà, perché Gesù è una Persona viva. Essere cristiani non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con Lui, con il Signore Risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di Lui e, trasformati dal suo Amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle. Il Salvatore ci assicura della sua presenza reale tra noi, per mezzo della Parola e dell’Eucaristia. Come, perciò, i discepoli di Emmaus «avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane», così anche noi incontriamo il Signore nella Celebrazione eucaristica. Spiega, a tale proposito, san Tommaso d’Aquino che «è necessario riconoscere secondo la fede cattolica, che tutto il Cristo è presente in questo Sacramento… perché mai la divinità ha lasciato il corpo che ha assunto» (S.Th. III, q. 76, a. 1).

La Madre di Dio ci aiuti ad ascoltare con attenzione la Parola del Signore e a partecipare degnamente alla Mensa del Sacrificio Eucaristico, per diventare testimoni del Cristo Risorto. Amen!

 

Commento al Vangelo nella solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo Anno B (16 maggio 2021)

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo

L’Ascensione al cielo di Gesù è un episodio ben documentato della sua vita, fondato sul racconto degli evangelisti e prima ancora dalla predicazione e dalla testimonianza degli apostoli. Con questo racconto, infatti, si concludono i vangeli di Marco e di Luca, mentre gli Atti degli apostoli cominciano con l’Ascensione al cielo di Gesù.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato che «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio». Certamente i giorni dopo la Pasqua furono per gli apostoli giorni straordinari. Chissà quante domande avranno fatto a Gesù. Chissà quanti chiarimenti dovette dare Gesù sul mistero della sua vita e sul compito che stava per dare alla Chiesa.

Inoltre, sempre durante quei quaranta giorni, quando Gesù stava per salutare gli apostoli, essi gli posero una domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». A questa domanda, scrive l’autore sacro, Gesù risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere». Ciò significa che il calendario del mondo lo conosce soltanto Dio. Certamente il mondo finirà, certamente le cose non possono durare in eterno. Ma quando avverrà tutto ciò? Questo lo sa soltanto Dio! Ebbene, quando sentiamo parlare di catastrofi, terremoti, alluvioni, ricordiamoci bene che sono pure fantasie, tutte previsioni e calcoli, perché nessuno di noi conosce il momento della fine del mondo. Anzi, Gesù ci fa capire che di queste cose non dobbiamo neppure preoccuparci!

E allora, se non dobbiamo preoccuparci di queste cose, di cosa dobbiamo preoccuparci?

La risposta la da’ lo stesso Gesù quando dice: «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Mentre nel vangelo abbiamo ascoltato: «essi partirono e predicarono dappertutto». Ebbene sì, di questo dobbiamo preoccuparci: diffondere la Buona Novella per far conoscere Cristo al mondo.

L’autore sacro conclude l’episodio dell’Ascensione con queste parole: «Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”», mentre Marco scrive: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio».

Ma che cosa significa «Ascensione al cielo»? Sia nella prima lettura che nel vangelo abbiamo ascoltato più volte la parola «cielo». Ma  cosa significa cielo? Un tempo si poteva pensare che la dimora di Dio, il paradiso, si trovasse proprio al di là delle nuvole, in cielo. Ma oggi questa immagine è davvero improponibile. E allora, che cosa significa «cielo» e «Ascensione al cielo»? Significa che Gesù è ritornato nel mondo di Dio, da dove era partito, ed è andato a prepararci un posto (cf Gv 14,1-3). Ed essendo tornato al Padre, siede ora alla sua destra, pienamente glorificato, dopo la terribile prova della passione e morte.

Se dunque l’Ascensione introduce Gesù in una dimensione nuova, anche gli apostoli sono chiamati a un profondo cambiamento di vita. Gesù abbandona la terra, e gli apostoli devono imparare a vivere senza di lui, però Gesù non abbandona i suoi. Dice Marco, e sono le ultime righe del suo vangelo, che «il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano».

Anche oggi il Cristo risorto e asceso al cielo opera nella Chiesa e con la Chiesa, opera con i cristiani che si impegnano a vivere il vangelo, a testimoniarlo e ad annunciarlo agli altri, opera con tutti gli uomini di buona volontà che si adoperano per la giustizia, la pace, la fraternità. E allora cerchiamo di vivere la missione che Cristo ci ha lasciato mettendo in pratica quello che dice san Paolo: «comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (II Lettura).

Ebbene, oggi siamo invitati a rinnovare i nostri impegni di apostolato, mettendo nelle mani del Signore i nostri propositi. Ciò facendo, dobbiamo mantenere viva la certezza che la sua Ascensione al cielo non è stata una partenza, ma soltanto la trasformazione di una presenza che non viene meno. Cristo è tra noi ancor oggi; egli è con noi. «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). Solo di qui deriva la nostra forza, ma anche la nostra costanza e la nostra gioia. Amen.

Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua Anno B (18 aprile 2021)

Impariamo ad essere testimoni credenti del Cristo Risorto

Il Vangelo di questa terza Domenica del tempo pasquale ci presenta un’ulteriore manifestazione di Gesù risorto ai suoi discepoli. Luca scrive che mentre i discepoli di Emmaus, che erano appena arrivati trafelati a Gerusalemme e stavano narrando «ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane […] Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”». Davanti all’apparizione del loro Maestro gli Undici, annota l’evangelista, restano «Sconvolti e pieni di paura» perché «credevano di vedere un fantasma». Perché questa reazione? Perché gli Undici ancora non credono a una reale presenza di Gesù quale risorto da morte, reale come quando camminava con loro sulle strade della Galilea e della Giudea, ma pensano di essere di fronte all’apparizione dello spirito di Gesù.

Ebbene, davanti a questo loro turbamento e davanti ai loro dubbi, Gesù mostra loro i segni del suo corpo glorioso; la sua è carne risorta da morte; non un cadavere rianimato né un semplice spirito; per questo egli dice: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi». In queste affermazioni è contenuto tutto il realismo della risurrezione.  

Però, racconta l’evangelista, «poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore»Gesù disse: «“Avete qui qualche cosa da mangiare?”. Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro». I discepoli ai quali si mostra il Risorto passano dalla paura allo stupore, ad una gioia ancora incredula, infine alla fede.

A questo punto il Risorto afferma: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Voi sarete testimoni! Ma che cos’è la testimonianza? È far vedere con la propria vita un mistero invisibile agli occhi di chi non crede. Questa è la nostra missione!

Come possiamo essere testimoni della risurrezione di Cristo? Nietzsche ha scritto: «Se Cristo è risorto, perché siete così tristi? Voi non avete il volto di persone redente!». Quanto è vero ciò che dice questo filosofo! Noi dovremmo essere persone allegre e invece siamo sempre tristi, imbronciati. Ma come acquistare il volto e soprattutto l’anima di persone redente? La strada è indicata dalle prime letture. Infatti san Pietro e san Giovanni parlano di pentimento dei peccati e di cambiamento della vita. Che c’entra tutto questo con la Risurrezione di Cristo?

Pensiamoci bene: per gustare la speranza, bisogna aver sentito qualche volta la disperazione; per apprezzare l’acqua, bisogna aver sete; per capire il valore della salute, bisogna ammalarsi…così per capire la Risurrezione di Cristo, bisogna conoscere le Sacre Scritture, scoprire Cristo, accogliere e apprezzare il dono della fede che diventa speranza, e riconoscersi peccatori. F. Dostoevskij nella celebre opera “I fratelli Karamazov”, dice che «il paradiso comincia solo nel momento in cui si ha il coraggio di riconoscere il proprio peccato».

E ancora Dostoevskij in un dialogo sull’ultimo giudizio, mette sulla bocca di Cristo queste parole sublimi: «Gli ultimi saranno i primi nel regno di Dio, perché nessuno di loro si è mai creduto degno di questo dono». Ciò significa che l’umiltà è la nostra verità: e nella verità si trova Dio e il grande dono di Dio, che è Cristo risorto.

L’umiltà allora è il nostro primo apostolato e la nostra prima testimonianza: perché ci permette di restare piccoli e quindi di non nascondere Cristo con il nostro orgoglio. E l’umiltà crea fraternità. I primi cristiani stupivano il mondo con la loro carità e la carità spingeva a cercare la causa del loro comportamento: spingeva verso Cristo risorto. Tertulliano, scrittore del terzo secolo, nel celebre “Apologetico” riferisce con commozione che i pagani, guardando i cristiani, esclamavano: «Guardate come si amano!». Noi oggi dovremmo strappare la stessa meraviglia nei confronti di coloro che sono lontani dalla fede.

Ebbene, «mettiamo l’orgoglio sotto i piedi» – esclamava il papa buono, san Giovanni XXIII – «e saremo liberi, sereni e fraterni: saremo creature che vivono e testimoniano la risurrezione di Cristo». Amen!

Commento al Vangelo della II Domenica di Pasqua Anno B (11 aprile 2021)

Crediamo davvero in Dio?

In questa seconda Domenica di Pasqua, detta Domenica della Divina Misericordia, il Vangelo ci narra di due apparizioni di Cristo avvenute tutte e due nel cenacolo. Nella prima non era presente l’apostolo Tommaso. Quando gli altri gli narrano l’accaduto, egli se ne uscì con la ben nota dichiarazione: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Prima di raccontare a Tommaso della visita del Maestro Risorto, l’evangelista narra che «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco». Gesù, dunque, si presenta improvvisamente. Era una visita inattesa e quasi imprevista per loro. Gesù saluta i suoi amici, saluta coloro che avevano condiviso con lui tre anni di vita.

Gesù, annota l’evangelista, continua dicendo: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». Ebbene, il Risorto comunica loro lo Spirito Santo e li abilita all’unica missione veramente essenziale: rimettere i peccati, perdonare in nome di Dio, riconciliare tutti gli uomini.

Gesù sa bene che l’essere umano ha peccato, sa che l’essere umano dubita, sa che l’essere umano tradisce, sa – purtroppo – che l’essere umano spesso si vergogna di lui… Gesù sa tutte queste cose perché conosce cosa c’è nel cuore dell’uomo. E allora in questo ordine «perdonate» è delineato il volto misericordioso del Padre: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi» (cf Mt 6,14). Oltre al volto misericordioso di Dio è delineato anche il volto della Chiesa in cammino: la Chiesa terrena non sarà mai una comunità di perfetti, non sarà mai una famiglia di soli santi, ma sarà un luogo di perdono, ossia la casa del perdono perché il perdono è il primo frutto della carità, è il segno della presenza di Dio-Carità, Dio-Amore dentro di noi e in mezzo a noi.

Ebbene, ritornando a Tommaso, poiché egli non era presente a questo primo incontro di Gesù, non crede alla parola dei suoi amici, non si fida. Non è convinto della loro testimonianza. È incredulo. Tommaso vuole avere un rapporto immediato e diretto con il Signore

Quante volte anche noi ci comportiamo come Tommaso! Quante volte dubitiamo di Dio! Quante volte mettiamo in dubbio la sua esistenza! Quante volte dubitiamo del suo amore per noi!

Orbene, Giovanni scrive che «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso». A questo apostolo che ha avuto un atteggiamento incredulo e che ora si trova davanti al Risorto, Gesù lo invita a contemplarlo attraverso i segni della passione e della morte dicendogli: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Tommaso, colui che non aveva creduto, colui che aveva diffidato, non osa toccare il Risorto ma si inginocchia davanti a lui per adorarlo ed esclama: «Mio Signore e mio Dio!». Il credente ebreo riservava questi appellativi solo a Dio ma Tommaso ora li indirizza a Gesù: siamo di fronte alla più alta confessione di fede in Gesù di tutto il Nuovo Testamento.

Tommaso non ha avuto bisogno di «mettere il dito», eppure ha dovuto vedere con i suoi occhi; ma è grazie a lui se Gesù può pronunciare l’ultima beatitudine: «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». I destinatari di queste parole siamo tutti noi, chiamati a sperimentare la beatitudine di chi vede Gesù con gli occhi della comunità cristiana, radunata nel giorno del Signore, la domenica, e in ascolto della parola di Dio. Ecco dove si incontra il Signore risorto!

Si comprendono dunque le parole con cui si conclude il Vangelo: «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome».

Ebbene, un giorno, varcata la soglia di questa vita, vedremo anche noi le ferite delle mani e del costato di Cristo, Figlio di Dio (l’Apocalisse dice che egli conserva anche in cielo i segni della sua passione) e, come Tommaso, pieni di gioia esclameremo: «Mio Signore e mio Dio!».

Il sacerdote e il vecchio Jim

Un sacerdote stava camminando in chiesa verso mezzogiorno e passando dall’altare decise di fermarsi lì vicino per vedere chi era venuto a pregare.
In quel momento si aprì la porta, il sacerdote inarcò il sopracciglio vedendo un uomo che si avvicinava; l’uomo aveva la barba lunga di parecchi giorni, indossava una camicia consunta, aveva una giacca vecchia i cui bordi avevano iniziato a disfarsi.
L’uomo si inginocchiò, abbassò la testa, quindi si alzò e uscì.

Nei giorni seguenti lo stesso uomo, sempre a mezzogiorno, tornava in chiesa con una valigia, si inginocchiava brevemente e quindi usciva.

Il sacerdote, un po’ spaventato, iniziò a sospettare che si trattasse di un ladro. Quindi un giorno si mise davanti alla porta della chiesa e quando l’uomo stava per uscire dalla chiesa lo fermò e gli chiese:

– “Che fai qui?”.

L’uomo gli rispose che lavorava in zona e aveva mezz’ora libera per il pranzo e approfittava di questo momento per pregare.

– “Rimango solo un momento, sai, disse l’uomo al sacerdote, perché la fabbrica è un po’ lontana, quindi mi inginocchio e dico: “Signore, sono venuto nuovamente per dirti quanto mi hai reso felice quando mi hai liberato dai miei peccati… non so pregare molto bene, però ti penso tutti i giorni… Beh, Gesù… qui c’è Jim a rapporto”.

Il sacerdote si sentì uno stupido e disse a Jim che andava bene, che era il benvenuto in chiesa quando voleva.

Dopo che Jim andò via, il sacerdote si inginocchiò davanti all’altare e iniziò a piangere e, mentre le lacrime scendevano sulle sue guance, nel suo cuore ripeteva la preghiera di Jim:

– “Sono venuto solo per dirti, Signore, quanto sono felice da quando ti ho incontrato attraverso i miei simili e mi hai liberato dai miei peccati… non so molto bene come pregare, però penso a te tutti i giorni… Beh, Gesù… eccomi a rapporto!”.

Dopo qualche tempo il sacerdote notò che il vecchio Jim non era venuto più in chiesa.
I giorni passavano e Jim non tornava a pregare. Il padre iniziò a preoccuparsi e un giorno andò alla fabbrica a chiedere di lui; lì gli dissero che Jim era malato e che i medici erano molto preoccupati per il suo stato di salute, ma che tuttavia credevano che avrebbe potuto farcela.

Nella settimana in cui rimase in ospedale Jim non era mai triste, anzi, sorrideva sempre e la sua allegria era contagiosa.
La caposala non poteva capire perché Jim fosse tanto felice dato che non aveva mai ricevuto né fiori, né biglietti augurali, né visite.

Un giorno il sacerdote andò a fargli visita e, avvicinandosi al letto di Jim con l’infermiera, questa gli disse, mentre Jim ascoltava:

– “Nessun amico è venuto a trovarlo, non ha nessuno”, ma nonostante ciò è sempre allegro.

Sorpreso da questa affermazione dell’infermiera, il vecchio Jim disse sorridendo:

– “Padre, l’infermiera si sbaglia! Lei non può sapere che tutti i giorni, da quando sono stato ricoverato in ospedale, a mezzogiorno, un mio amato amico viene, si siede sul letto, mi prende le mani, si inclina su di me e mi dice: “Sono venuto solo per dirti, Jim, quanto sono stato felice da quando ho trovato la tua amicizia e ti ho liberato dai tuoi peccati… mi è sempre piaciuto ascoltare le tue preghiere, ti penso ogni giorno… e io sarò con te sempre, ogni giorno, fino alla fine…”.

MORALE: non dimentichiamoci mai di Dio, perché Lui non si dimentica mai di noi. Abbiamo sempre fede in Colui che tutto può perché a Dio nulla è impossibile.

La roccia

Un uomo dormiva nella sua capanna quando improvvisamente una luce illuminò la stanza ed apparve Dio.
Il Signore gli disse che aveva un lavoro per lui e gli indicò una gran roccia di fronte alla capanna.
Gli spiegò che doveva spingere la pietra con tutte le sue forze.

L’uomo fece quello che il Signore gli chiese, giorno dopo giorno.
Per molti anni, da quando usciva il sole fino al tramonto, l’uomo spingeva la fredda pietra con tutte le sue forze… ma questa non si muoveva.

Tutte le sere l’uomo ritornava alla sua capanna molto stanco e convinto sempre più che tutti i suoi sforzi erano inutili.
Cominciò così a sentirsi frustrato e Satana ne approfittò insinuandosi subito nella sua mente e mettendogli forti dubbi:

– Stai spingendo quella roccia da molto tempo… e non si è mossa di un millimetro! Disse Satana.

L’uomo pian piano cominciava a convincersi che il compito che gli era stato affidato era impossibile da realizzare e che lui era un fallito.
Questi pensieri aumentavano sempre più la sua frustrazione e delusione. Satana infierì ancora e, consigliando l’uomo, gli disse:

– Perché sforzarti tutto il giorno in questo compito impossibile?

L’uomo pensò di mettere in pratica questo consiglio, in fondo fino ad allora con tutti i suoi sforzi non aveva concluso nulla di buono, ma prima decise di elevare una preghiera al Signore e confessargli i suoi sentimenti:

– Signore, – disse l’uomo – ho lavorato duramente per molto tempo al tuo servizio. Ho usato tutta la mia forza per ottenere quello che mi hai chiesto, ma non sono riuscito a smuovere la roccia neanche di un millimetro. Ho lavorato per niente, sono un fallito! È meglio che io faccia altro!

Il Signore, a questa confessione, rispose con molta compassione:

– Caro figlio, quando ti chiesi di servirmi e tu accettasti, ti dissi che il tuo compito era di SPINGERE la roccia con tutte le tue forze, e l’hai fatto!

Non ti ho chiesto mai di rimuoverla! Il tuo compito era solo quello di spingerla.

Non ti dovevi preoccupare di spostarla… a quello ci penso IO!

Ora vieni a me senza forze a dirmi che sei fallito, ma ne sei proprio sicuro?
Chi ti ha fatto pensare ad una cosa simile?
Hai dato ascolto al demonio?
Ricordati che il demonio è un bugiardo e un menzognero!

Però ora guardati: le tue braccia sono forti e muscolose, la tua schiena forte ed abbronzata, le tue mani callose per la costante pressione, le tue gambe sono diventate dure.
Nonostante le avversità sei cresciuto molto ed ora le tue abilità sono maggiori di quelle che avevi prima di fare la mia volontà.

Certo, non hai mosso la roccia, ma la tua missione era di OBBEDIRE spingendola, per esercitare la tua fede in me.
Io so che tu non sei capace di spostare la roccia… per questo non te l’ho chiesto… Sappi che Io non dò mai pesi superiori alle forze di ognuno.

Tu mi hai obbedito! Sei stato fedele… e soprattutto PRIMA di fare ciò che il demonio ti ha suggerito, TI SEI RIVOLTO A ME. Bravo!

Ora, caro figlio, io muoverò la roccia.

MORALE: Alcune volte, quando ascoltiamo la parola del Signore, tentiamo di usare il nostro intelletto per decifrare la Sua volontà, quando in realtà Dio ci chiede SOLTANTO obbedienza e fede in Lui.

Dobbiamo esercitare la nostra fede che muove montagne, ma coscienti che è Dio che alla fine riesce a spostarle.

E allora quando tutto ti sembra andar male… SPINGI soltanto!

Quando sei stressato… SPINGI soltanto!

Quando la gente non si comporta nella maniera che a te sembrerebbe giusta… SPINGI soltanto!

Quando la gente semplicemente non ti comprende… SPINGI soltanto!

Quando ti siedi sfinito e senza forze… SPINGI soltanto!

Ricordati e non dimenticarlo mai: chi ti sposterà gli ostacoli sarà Dio perché a Lui niente è impossibile.

Commento al Vangelo della VI Domenica del Tempo Ordinario Anno B (14 febbraio 2021)

Signore, guariscici dall’indifferenza!

Nelle letture di questa sesta Domenica del tempo ordinario risuona più volte la parola: lebbra. Al tempo di Gesù la lebbra era una malattia spaventosa. Va ricordato che nell’Israele antico il lebbroso rappresentava la persona emarginata per eccellenza: colpito da una malattia sentita non solo come ripugnante, ma anche come dovuta a una punizione divina per i peccati commessi, il lebbroso viveva la condizione più disperante e vergognosa in Israele. Alle sofferenze fisiche si aggiungevano infatti quelle connesse alla sua separazione dalla famiglia e dalla società poiché vi era la convinzione che questa malattia fosse talmente contagiosa da infettare chiunque fosse venuto in contatto con il malato, e ogni lebbroso, vedendo la sua carne spaventosamente mangiata dalla malattia, era indotto a comportarsi come se fosse ormai morto. Inoltre, oltre alle sofferenze fisiche, vi era il giudizio religioso che faceva del lebbroso un peccatore e, dunque, un castigato da Dio. Dicevano: o ha peccato lui, oppure qualcuno della sua famiglia.

Ebbene, sul fenomeno della lebbra le letture di questa Domenica ci permettono di conoscere l’atteggiamento prima della legge mosaica e poi del Vangelo di Cristo. Nel brano tratto dal Levitico si dice che la persona sospettata di lebbra deve essere condotta dal sacerdote il quale, dopo averla esaminata, dichiarerà quella persona impura (cf Lv 13,3). Da quel momento «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (I Lettura).

L’antico Libro del Levitico, come si nota, traccia una linea di comportamento igienico-sanitario nei confronti degli ammalati di lebbra. Disposizioni severissime per la paura che incuteva questa terribile malattia.

Non occorre però scandalizzarsi troppo di fronte a questa ingiustizia, perché è la stessa che noi commettiamo ancora oggi, quando siamo tentati di giudicare la malattia di un altro quale esito di un comportamento immorale; oppure quando di fronte alla nostra malattia, ci poniamo la domanda: «Che peccato ho fatto? Perché questo castigo da parte di Dio?»…

Vediamo ora come si comporta Gesù nel Vangelo. Marco scrive che «Venne da lui un lebbroso». Gesù non lo allontana, come imponeva la legge, ma accetta di incontrare una persona che tutti evitavano; una persona che era costretta a vivere in luoghi deserti e a svelare la propria condizione a chiunque stesse per avvicinarglisi. Ebbene, Gesù lo lascia avvicinare a sé, fino ad ascoltare ciò che il lebbroso vuole dirgli: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Alla vista di quest’uomo l’evangelista annota che Gesù «ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”». Egli, dunque, toccandolo, supera la legge interpretandola con misericordia e in tal modo, purifica, guarisce, restituisce alla condizione di vita piena quel povero sventurato.

È da notare che il lebbroso aveva detto a Gesù: «Se vuoi, puoi». Queste parole significavano un enorme atto di fiducia e cioè: «Io conto su di te e so che a te è possibile guarirmi». Ciò significa che nessuna malattia, nessuna sofferenza, nessuna disgrazia deve diventare pretesto per allontanarci da Dio. Essere cristiani significa abbandonarci e avere fiducia in lui perché «nulla è impossibile a Dio» (cf Lc 1,37). Essere cristiani, inoltre, significa anche non emarginare l’anziano, il malato, il sofferente, il povero ma avere compassione per il prossimo e amarlo. «Se pensiamo solo a noi stessi non vivendo la carità non diciamo di essere cristiani!» (san Paolo VI).

Come possiamo dimenticare il grande gesto compiuto da san Francesco d’Assisi quando abbracciò il lebbroso? Proprio il giorno in cui ha deciso di abbracciare il lebbroso, il poverello d’Assisi ha capito sinteticamente tutto il cristianesimo e ha incominciato il suo cammino di sequela fino a divenire «somigliantissimo a Gesù».

Gesù è la santità che brucia ogni nostro peccato, è la vita che guarisce le nostre infermità, egli è colui che «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (cf Is 53,4a).

L’episodio evangelico si conclude con Gesù che manda il lebbroso dal sacerdote perché confermi la sua guarigione. Era infatti indispensabile il giudizio del sacerdote per restituire piena dignità sociale a questo lebbroso ormai guarito. In questo caso Gesù rispetta la legge e ne riconosce la validità. Egli, dunque, dimostra così di non essere venuto ad abolire la legge, ma a «darle compimento», cioè a realizzare quello che la legge prescriveva di fare, ma non dava la capacità di fare.

Il racconto è caratterizzato da uno straordinario clima di normalità. I maghi e i guaritori sono dei ciarlatani che illudono e ingannano le persone: più si parla di loro, meglio è. Non è così per Gesù. Infatti il Maestro Divino dirà al lebbroso guarito: «Guarda di non dire niente a nessuno» ma egli, scrive Marco, «si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto».

Divulghiamo anche noi la misericordia di Dio e chiediamo al Padre nostro che è nei cieli di risanarci dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni che ci avviliscono. Che il Signore ci aiuti a scorgere nel volto del prossimo l’immagine del Cristo Gesù, unica nostra salvezza. Amen. 

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