Commento al Vangelo della V Domenica del Tempo Ordinario Anno C (6 febbraio 2022)

Eccomi, manda me!

La parola del Signore che ci viene offerta nelle tre letture di questa quinta domenica del tempo ordinario ci presenta tre vicende che gli studiosi chiamano: racconti di vocazione, ossia chiamata.

La prima lettura è il racconto della vocazione di Isaia. La chiamata di Isaia, vissuto nell’ 8° secolo avanti Cristo, viene descritta in modo solenne e mette in evidenza la santità di Dio, dinanzi al quale ogni persona è «dalle labbra impure» e ha bisogno di essere purificata col «carbone ardente preso dall’ altare», per sentirsi ripetere: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Anche Pietro, ci dice l’evangelista Luca, dinanzi alla potenza di Gesù nella pesca prodigiosa, esclama: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Dinanzi a Cristo che si è rivelato anche a lui Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, dichiara: «Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio».

Di fronte al Signore che fa irruzione nella nostra vita, che ci sceglie, che ci chiama, che ci invia per una missione, non possiamo non sentire la nostra pochezza, i nostri limiti, i nostri peccati. Questa constatazione non ci impedisce di rispondere come Isaia: «Eccomi, manda me!», oppure ripetere il gesto dei discepoli, che lasciarono tutto e seguirono Gesù.

Per compiere la missione alla quale il Signore ci destina è necessaria la nostra risposta di persone libere e consapevoli, ma l’iniziativa è sempre di Dio, che appare a Isaia, che ferma Saulo sulla via di Damasco, che dice a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». È la parola di Dio fatta carne in Cristo che chiama e, mentre chiama, trasforma e rende capaci di dare una risposta generosa e incondizionata. Alla richiesta che appare insensata – Simone e i suoi compagni hanno faticato tutta la notte senza pescare nulla e per di più sanno bene che si pesca poco in pieno giorno – Pietro mette da parte le sue certezze e risponde senza indugio: «sulla tua parola getterò le reti». È un’affermazione straordinaria, che esprime l’essenziale della fede cristiana: un’adesione fiduciosa e profonda a Gesù, un’obbedienza alla sua parola. È la parola di Gesù che trasforma i pescatori del lago di Cafarnao in pescatori di uomini. Luca annota dicendo che Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Pietro da pescatore di pesci deve diventare pescatore di persone, capace cioè di condurre uomini e donne al Signore. E questa promessa gli viene rivolta proprio mentre egli confessa la propria inadeguatezza, a riprova di come solo grazie all’ adesione al Signore egli potrà scacciare ogni paura e compiere ciò che alle sue forze sarebbe impossibile.

Il racconto evangelico si conclude con un’annotazione che, nella sua brevità, può riassumere il senso di un’intera vita: i tre pescatori «tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Quegli uomini che dicono «» a Gesù e lo seguono rinunciano al loro lavoro, abbandonano la famiglia e la casa. Il loro «sì» comporta delle rinunce che Pietro, Giacomo e Giovanni – e tutti coloro che dicono «sì» al Signore – hanno vissuto con gioia perché hanno accettato liberamente di non anteporre nulla all’ amore di Cristo, hanno deciso di «stare con lui» (cfr (Mc 3, 14) nella certezza che «il suo amore vale più della vita» (cfr Sal 63, 4).

Ci sono dei momenti nella nostra vita in cui Dio si rivela anche a noi, ci chiama a seguirlo, non in modo spettacolare ma nei modi più diversi. Tutti, dunque, siamo chiamati a seguire il Signore. Sta a noi riconoscere la sua voce, discernere i segni della sua volontà. È nell’ ascolto della sua Parola, nella contemplazione, nella preghiera, che ci rendiamo pronti e disponibili ad accogliere la sua chiamata, che non è riservata a pochi eletti – la vocazione non è riservata ai soli sacerdoti, ai religiosi e alle religiose -, ma è rivolta a tutti, anche se per missioni e servizi diversi. Dio chiama per affidare un compito, per coinvolgerci nel suo progetto di salvezza. La risposta dei profeti e degli apostoli a volte è immediata, gioiosa, altre volte è titubante, perplessa, ma tutti, alla fine, dicono il loro «eccomi».

Come ci comportiamo noi di fronte alla scelta e alla chiamata del Signore che ci vuole impegnati nel suo servizio e nel servizio ai fratelli, sia nella comunità ecclesiale che in quella civile? Sappiamo fidarci veramente della parola del Signore? Oppure ci lasciamo scoraggiare dai nostri fallimenti? Siamo pronti a seguirlo?

Ci aiuti la Vergine Maria a rispondere generosamente alla chiamata del Signore e a comprendere sempre più che essere discepoli significa mettere i nostri piedi sulle orme lasciate dal Maestro: sono le orme della grazia divina che rigenera vita per tutti.

Commento al Vangelo nella solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo Anno B (16 maggio 2021)

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo

L’Ascensione al cielo di Gesù è un episodio ben documentato della sua vita, fondato sul racconto degli evangelisti e prima ancora dalla predicazione e dalla testimonianza degli apostoli. Con questo racconto, infatti, si concludono i vangeli di Marco e di Luca, mentre gli Atti degli apostoli cominciano con l’Ascensione al cielo di Gesù.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato che «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio». Certamente i giorni dopo la Pasqua furono per gli apostoli giorni straordinari. Chissà quante domande avranno fatto a Gesù. Chissà quanti chiarimenti dovette dare Gesù sul mistero della sua vita e sul compito che stava per dare alla Chiesa.

Inoltre, sempre durante quei quaranta giorni, quando Gesù stava per salutare gli apostoli, essi gli posero una domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». A questa domanda, scrive l’autore sacro, Gesù risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere». Ciò significa che il calendario del mondo lo conosce soltanto Dio. Certamente il mondo finirà, certamente le cose non possono durare in eterno. Ma quando avverrà tutto ciò? Questo lo sa soltanto Dio! Ebbene, quando sentiamo parlare di catastrofi, terremoti, alluvioni, ricordiamoci bene che sono pure fantasie, tutte previsioni e calcoli, perché nessuno di noi conosce il momento della fine del mondo. Anzi, Gesù ci fa capire che di queste cose non dobbiamo neppure preoccuparci!

E allora, se non dobbiamo preoccuparci di queste cose, di cosa dobbiamo preoccuparci?

La risposta la da’ lo stesso Gesù quando dice: «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Mentre nel vangelo abbiamo ascoltato: «essi partirono e predicarono dappertutto». Ebbene sì, di questo dobbiamo preoccuparci: diffondere la Buona Novella per far conoscere Cristo al mondo.

L’autore sacro conclude l’episodio dell’Ascensione con queste parole: «Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”», mentre Marco scrive: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio».

Ma che cosa significa «Ascensione al cielo»? Sia nella prima lettura che nel vangelo abbiamo ascoltato più volte la parola «cielo». Ma  cosa significa cielo? Un tempo si poteva pensare che la dimora di Dio, il paradiso, si trovasse proprio al di là delle nuvole, in cielo. Ma oggi questa immagine è davvero improponibile. E allora, che cosa significa «cielo» e «Ascensione al cielo»? Significa che Gesù è ritornato nel mondo di Dio, da dove era partito, ed è andato a prepararci un posto (cf Gv 14,1-3). Ed essendo tornato al Padre, siede ora alla sua destra, pienamente glorificato, dopo la terribile prova della passione e morte.

Se dunque l’Ascensione introduce Gesù in una dimensione nuova, anche gli apostoli sono chiamati a un profondo cambiamento di vita. Gesù abbandona la terra, e gli apostoli devono imparare a vivere senza di lui, però Gesù non abbandona i suoi. Dice Marco, e sono le ultime righe del suo vangelo, che «il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano».

Anche oggi il Cristo risorto e asceso al cielo opera nella Chiesa e con la Chiesa, opera con i cristiani che si impegnano a vivere il vangelo, a testimoniarlo e ad annunciarlo agli altri, opera con tutti gli uomini di buona volontà che si adoperano per la giustizia, la pace, la fraternità. E allora cerchiamo di vivere la missione che Cristo ci ha lasciato mettendo in pratica quello che dice san Paolo: «comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (II Lettura).

Ebbene, oggi siamo invitati a rinnovare i nostri impegni di apostolato, mettendo nelle mani del Signore i nostri propositi. Ciò facendo, dobbiamo mantenere viva la certezza che la sua Ascensione al cielo non è stata una partenza, ma soltanto la trasformazione di una presenza che non viene meno. Cristo è tra noi ancor oggi; egli è con noi. «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). Solo di qui deriva la nostra forza, ma anche la nostra costanza e la nostra gioia. Amen.

SVUOTATE ILCESTINO!!!

Gesù alla domanda: “se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?“, risponde: “fino a settanta volte sette”, cioè “sempre”.
Ma posso fare io una domanda a voi? Che razza di modo di perdonare è quello di chi… in realtà… continua a portare il conto degli sgarri degli altri nei suoi confronti o dei torti subiti? La misericordia di Dio invece è come una gomma, il peccato non esiste più. Noi quando perdoniamo facciamo un pò come con il computer: cancelliamo i torti degli altri, ma li lasciamo nel cestino… pronti a recuperarli all’occorrenza quando ci faranno comodo. Abbiamo cancellato, si, ma per finta. Il nostro spazio non è liberato.
Invece Dio, quando cancella il file del nostro peccato, svuota anche il cestino. E questa è un’operazione che solo lui può donarci di compiere.
Ebbene, detto ciò, che Dio ci aiuti a svuotare il nostro cestino!!!

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