2 novembre: Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I)

Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno

Dopo aver contemplato nella solennità di ieri la gloria di tutti i santi e la Gerusalemme celeste, oggi siamo invitati dalla chiesa a fare memoria dei morti, a pregare per tutti coloro che hanno camminato prima di noi, che ci hanno anche accompagnato, ci hanno dato la vita e ci hanno lasciato.

Nella prima Lettura abbiamo ascoltato il racconto di Giobbe, uomo timorato di Dio, sul quale si scatena tanta sofferenza. Quante volte capita di sentire, attraverso i telegiornali, notizie di guerra, di violenza, di fame, di morte e quante volte dentro di noi ci poniamo la domanda: “ma perché Dio permette tanto dolore, tanta sofferenza?”. A questa nostra domanda risponde Giobbe il quale smonta anzitutto l’idea del dolore come conseguenza della punizione divina per colpe compiute dall’uomo. Dio non punisce, non usa malattia, dolore, morte per vendicarsi del nostro peccato. Questo non è il nostro Dio, il Dio della rivelazione biblica. Dio è Amore! Giobbe, abbiamo ascoltato, non spiega il dolore, ma lo vive nella compagnia e nella fiducia di quel Dio – che prima o poi verrà in aiuto del suo fedele – che lo rende partecipe di un disegno più grande e che ha il suo compimento nella visione piena e totale del Padre dopo, scrive l’autore sacro, «che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». Sì, un giorno anche noi contempleremo il Signore e «lo vedremo così come egli è» (cf 1Gv 3, 2).

Nel salmo 26, infatti, il salmista esprime tutta la sua fiducia nell’intervento salvifico del Signore che non abbandona chi confida in lui ed esaudirà l’ardente desiderio di ogni fedele di contemplare il suo volto e la sua bontà nella terra dei viventi.

Il cristiano, dunque, deve avere piena fiducia nell’amore gratuito di Dio Padre che ha mandato nel mondo il suo unigenito Figlio il quale è morto per ognuno di noi, mentre eravamo ancora immersi nei nostri peccati. San Paolo, infatti, scrive: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (II Lettura). A maggior ragione, continua l’apostolo delle genti, ora che siamo suoi figli grazie al sacrificio di Gesù, che ci ha giustificati nel suo sangue, l’Onnipotente ci salverà e ci donerà la vita eterna per mezzo del suo amatissimo Figlio.

Ed infine, nel brano del vangelo di Giovanni, si parla della risurrezione. La risurrezione è la promessa che Gesù fa agli uomini, a coloro che Dio gli ha dato: in questo modo egli ci aiuta a vincere la paura della morte e del giudizio, quell’evento in cui ciascuno di noi starà davanti a Dio per rendere conto delle proprie azioni (cf Ap 20, 12). «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori», dice Gesù. Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se questo suo movimento è contraddetto da tante cadute; il cristiano si allontana e ritorna, si ribella e si converte, si rialza dal peccato per riprendere la sequela del suo Signore. Ebbene, il Signore «non lo respinge, ma lo risuscita nell’ultimo giorno»; abbracciandolo nel suo amore, gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna, e agisce così perché ha assunto in profondità la volontà di Dio: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno».

Per l’evangelista Giovanni credere in Gesù, Figlio di Dio fatto carne e rivelatore dell’amore del Padre, è l’unica via di accesso alla vita eterna. Ma cosa significa credere in Gesù? Credere in Cristo Signore non è un fatto intellettuale o di parole, è invece adesione alla sua persona, sequela, ascolto vitale della sua parola e realizzazione del suo «comandamento» di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati (cf Gv 13, 34). Credere in Gesù, dunque, significa vivere ogni giorno quell’amore che lui stesso ha vissuto in modo pieno verso Dio e i nostri fratelli.

A chi crede in lui il Signore assicura la risurrezione e la vita eterna nella casa del Padre. A conferma di questa sua promessa egli, facendo la volontà del Padre suo e Padre nostro, si lascerà innalzare da terra, per attirare tutti a sé (cf Gv 12, 32-33). Però, una volta risorto e asceso al cielo, «preparerà un posto, per ciascuno di noi, nella casa di suo Padre, dove vi sono molte dimore» (cf Gv 14, 2-3).

ANGELA E MARIETTA

In un’agiata famiglia abruzzese del secolo scorso erano nate due bambine Angela e Marietta. Il padre farmacista e la madre maestra, amavano queste figliuole in modo speciale, arrivate in età avanzata. Angela aveva cinque anni e Marietta tre. Per favorire l’educazione e l’istruzione furono mandate dalle suore salesiane delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Le bambine erano molto volenterose e brave allieve. Con il tempo appresero l’istruzione didattica ma anche quella religiosa. Tra le due Marietta sembrava la più sensibile, mentre Angela mostrava una età maggiore di quella anagrafica. Le bambine trascorrevano in convitto la settimana scolastica mentre il fine settimana tornavano a casa, coccolate e amate dai genitori. Accadde che Marietta si ammalò di leucemia e la diagnosi fu tremenda senza nessun appello. I genitori rimasero sconvolti e il padre farmacista, devoto di Padre Pio, decise di andare a San Giovanni Rotondo dal frate cappuccino. Arrivò al convento ma fu impossibile parlare con il frate. Il giorno seguente si mise in fila per confessarsi. Quando giunse il suo turno padre Pio lo confessò e poi chiese: “Mi devi dire altro?” Il farmacista scoppiò a piangere e disse che era venuto al convento perché la figlia più piccola era ammalata di leucemia. Padre Pio rispose: “quale delle due, la dottoressa o la madre superiore? Pregherò per lei”. Il padre rimase senza parole. Tonato a casa si confidò con la moglie e raccontò l’accaduto. Durante una trasfusione di sangue, la bambina raccontò ai genitori di aver visto un frate con la barba bianca che le stava accanto con il rosario in mano. La bambina guarì miracolosamente e dopo una breve convalescenza tornò a scuola. Passarono gli anni e i genitori, ormai anziani, andarono a San Giovanni Rotondo a ringraziare il frate. Poiché, Padre Pio era morto si confidarono con padre Modestino. Il frate scherzando chiese: “come stanno le bambine?” La risposta: “la grande è diventata medico internista dell’ospedale, mentre la piccola è diventata figlia di Maria Ausiliatrice e madre superiora dell’Istituto Santa Maria Domenica Mazzarello”. Padre Modestino osservò: “Padre Pio aveva l’occhio lungo e viaggiava molto con il rosario in mano” facendo capire che il frate con la barba era andato in bilocazione da Marietta.

PREGHIERA A MARIA, REGINA DELLE GRAZIE

O Celeste Tesoriera di tutte le grazie, Madre di Dio e Madre mia Maria, Rifugio dei poveri peccatori, Consolatrice degli afflitti, Speranza di chi dispera e Aiuto potentissimo dei cristiani, io ripongo in Te ogni mia fiducia, Immacolata Sposa dell’Eterno Spirito Santo, Madre dell’Eterno Verbo incarnato, Maria Santissima.
Ti supplico, o Regina delle grazie, di ascoltare la mia preghiera.
Rivolgi il Tuo materno sguardo sull’umanità e concedi a tutti noi l’amore Tuo costante e in modo speciale la materna benedizione.
Concedi, o Misericordiosa Dispensatrice delle grazie divine, la pace al mondo e ai nostri cuori.
Fa’ che il tuo Figlio Gesù, nostra unica salvezza e speranza, sia amato dalla umana società.
Proteggi, o Madre cara, le famiglie, i giovani, i bambini, gli anziani, i malati e tutti coloro che si professano tuoi figli devoti.
Aiuto potentissimo dei cristiani, io ripongo in Te ogni mia fiducia e sono sicuro che Tu, o Avvocata nostra, intercederai per tutti noi presso il Padre tuo e Padre nostro che è nei cieli.
Sii sempre benedetta, o Maria, Regina delle grazie, oggi e sempre,
in terra e in cielo. Amen.
Salve Regina…
(Don Lucio)

Commento al Vangelo nella solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo Anno B (16 maggio 2021)

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo

L’Ascensione al cielo di Gesù è un episodio ben documentato della sua vita, fondato sul racconto degli evangelisti e prima ancora dalla predicazione e dalla testimonianza degli apostoli. Con questo racconto, infatti, si concludono i vangeli di Marco e di Luca, mentre gli Atti degli apostoli cominciano con l’Ascensione al cielo di Gesù.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato che «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio». Certamente i giorni dopo la Pasqua furono per gli apostoli giorni straordinari. Chissà quante domande avranno fatto a Gesù. Chissà quanti chiarimenti dovette dare Gesù sul mistero della sua vita e sul compito che stava per dare alla Chiesa.

Inoltre, sempre durante quei quaranta giorni, quando Gesù stava per salutare gli apostoli, essi gli posero una domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». A questa domanda, scrive l’autore sacro, Gesù risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere». Ciò significa che il calendario del mondo lo conosce soltanto Dio. Certamente il mondo finirà, certamente le cose non possono durare in eterno. Ma quando avverrà tutto ciò? Questo lo sa soltanto Dio! Ebbene, quando sentiamo parlare di catastrofi, terremoti, alluvioni, ricordiamoci bene che sono pure fantasie, tutte previsioni e calcoli, perché nessuno di noi conosce il momento della fine del mondo. Anzi, Gesù ci fa capire che di queste cose non dobbiamo neppure preoccuparci!

E allora, se non dobbiamo preoccuparci di queste cose, di cosa dobbiamo preoccuparci?

La risposta la da’ lo stesso Gesù quando dice: «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Mentre nel vangelo abbiamo ascoltato: «essi partirono e predicarono dappertutto». Ebbene sì, di questo dobbiamo preoccuparci: diffondere la Buona Novella per far conoscere Cristo al mondo.

L’autore sacro conclude l’episodio dell’Ascensione con queste parole: «Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”», mentre Marco scrive: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio».

Ma che cosa significa «Ascensione al cielo»? Sia nella prima lettura che nel vangelo abbiamo ascoltato più volte la parola «cielo». Ma  cosa significa cielo? Un tempo si poteva pensare che la dimora di Dio, il paradiso, si trovasse proprio al di là delle nuvole, in cielo. Ma oggi questa immagine è davvero improponibile. E allora, che cosa significa «cielo» e «Ascensione al cielo»? Significa che Gesù è ritornato nel mondo di Dio, da dove era partito, ed è andato a prepararci un posto (cf Gv 14,1-3). Ed essendo tornato al Padre, siede ora alla sua destra, pienamente glorificato, dopo la terribile prova della passione e morte.

Se dunque l’Ascensione introduce Gesù in una dimensione nuova, anche gli apostoli sono chiamati a un profondo cambiamento di vita. Gesù abbandona la terra, e gli apostoli devono imparare a vivere senza di lui, però Gesù non abbandona i suoi. Dice Marco, e sono le ultime righe del suo vangelo, che «il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano».

Anche oggi il Cristo risorto e asceso al cielo opera nella Chiesa e con la Chiesa, opera con i cristiani che si impegnano a vivere il vangelo, a testimoniarlo e ad annunciarlo agli altri, opera con tutti gli uomini di buona volontà che si adoperano per la giustizia, la pace, la fraternità. E allora cerchiamo di vivere la missione che Cristo ci ha lasciato mettendo in pratica quello che dice san Paolo: «comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (II Lettura).

Ebbene, oggi siamo invitati a rinnovare i nostri impegni di apostolato, mettendo nelle mani del Signore i nostri propositi. Ciò facendo, dobbiamo mantenere viva la certezza che la sua Ascensione al cielo non è stata una partenza, ma soltanto la trasformazione di una presenza che non viene meno. Cristo è tra noi ancor oggi; egli è con noi. «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). Solo di qui deriva la nostra forza, ma anche la nostra costanza e la nostra gioia. Amen.

Commento al Vangelo della IV Domenica di Pasqua Anno B (25 aprile 2021)

Cristo Buon Pastore

Ogni anno, nella quarta domenica di Pasqua, il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni ci invita a guardare a Gesù, pastore buono. Questa domenica, infatti, è chiamata «la domenica del Buon Pastore». Il motivo lo si capisce subito ascoltando il brano evangelico dove appunto Gesù dice: «Io sono il buon pastore».

L’immagine di Cristo Buon Pastore conquistò il cuore dei cristiani. Le più antiche rappresentazioni di Gesù nelle catacombe e nei sarcofagi, lo ritraggono nelle vesti del pastore che porta sulle spalle la pecorella ritrovata.

Per capire l’importanza che ha nella Bibbia il tema del pastore, bisogna rifarsi alla storia. Israele fu, all’inizio, un popolo di pastori nomadi. In questa società, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico, basato sull’interesse. Si sviluppa un rapporto quasi personale tra il pastore e il gregge. Giornate e giornate passate insieme in luoghi solitari a osservarsi. Il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora; la pecora riconosce e distingue tra tutte la voce del pastore che spesso parla con le pecore. Un’immagine equivalente, ma vicina a noi, potrebbe essere quella di una mamma che al parco, mentre è seduta a leggere o a guardare il cellulare, vigila attentamente con la coda dell’occhio sul suo bambino che gioca e corre, pronta a scattare a ogni segnale di pericolo. Questo spiega come mai Gesù si è servito di questo simbolo per esprimere il suo rapporto con l’umanità.

In seguito, il titolo di pastore viene dato, per estensione, anche a quelli che fanno le veci di Dio in terra: i re, i sacerdoti, i capi in genere. Ma in questo caso il simbolo si scinde: non evoca più solo immagini di protezione, di sicurezza, ma anche quelle di sfruttamento e di oppressione.

Accanto all’immagine del «buon pastore che dà la propria vita per le pecore» fa la sua comparsa quella del cattivo pastore, del mercenario. Gesù infatti, scrive Giovanni, dice che «Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore».

Ma perché Gesù si è appropriato dell’immagine del pastore e chiama noi pecore?

Innanzitutto bisogna dire che uno dei fenomeni più evidenti della nostra società è la massificazione. Che cosa significa? Significa che stampa, televisione, internet, facebook, instagram, twitter, si chiamano «mezzi di comunicazione di massa», mass-media, non solo perché informano le masse, ma anche perché le formano, le creano, le massificano. Senza che ce ne accorgiamo, noi ci lasciamo guidare supinamente da ogni sorta di manipolazione e di persuasione occulta. Altri creano modelli di benessere e di comportamento, ideali e obiettivi di progresso, e noi li seguiamo; andiamo dietro, per stare al passo con il tempo, condizionati e plagiati dalla pubblicità. Mangiamo quello che ci dicono, parliamo come sentiamo parlare, per slogan, ci facciamo un giudizio degli altri a volte sbagliato…il criterio, purtroppo, da cui la maggioranza si lascia guidare nelle proprie scelte è il «così fan tutti».

Ebbene, appartenere al gregge di Gesù significa non cadere nella massificazione. Significa non giudicare gli altri dalle apparenze; non lasciarsi condizionare dal giudizio altrui. Il Vangelo ovviamente non ci promette di cambiare l’attuale società «di massa»; non è il suo compito e neppure ha bisogno di farlo. Lo scopo del Vangelo è quello di lasciarsi ispirare dalla parola di Cristo che non è «così fan tutti» ma «così è bene fare».

Lo sguardo di Gesù però non si ferma al suo piccolo gregge, alla comunità itinerante di uomini e donne che lo ha seguito, ma si rivolge anche alle pecore non ancora alla sua sequela: «ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Dicendo questo, egli pensa a tutti gli uomini che attirerà a sé quando sarà innalzato in croce e poi in cielo presso il Padre (cf Gv 12,32). La sua missione sarà quella di «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (cf Gv 11,52), ma ciò si realizzerà in modo sorprendente: questo pastore universale (cf Eb 13,20; 1Pt 5,4), l’unico pastore della chiesa sparsa su tutta la terra, si rivelerà come agnello immolato (cf Ap 5,6.12; 7,17; 13,8), che ha dato la propria vita, e per questo è stato innalzato e glorificato dal Padre. Sì, proprio in quanto agnello Gesù è diventato il pastore delle pecore!

Da questa pagina del Vangelo scaturisce una domanda cruciale per tutti i pastori delle chiese: essi svolgono il loro servizio come funzionari o come persone che spendono la propria vita con amore per le comunità loro affidate? È infatti sempre possibile che il pastore si trasformi in mercenario oppure finisca per non interessarsi delle pecore che compongono il suo gregge. Non si dimentichi però: se un pastore comincia a svolgere il proprio servizio come un mercenario, vivendo in modo contraddittorio a quel che pensa, poco per volta finirà anche per pensare come vive, in un triste circolo vizioso. E ciò sarebbe causa di grande rovina sia per il pastore sia per le pecore…

Chiediamo a Dio onnipotente e misericordioso affinché mandi santi sacerdoti nella sua messe, che annuncino non solo con le parole ma soprattutto con le opere, il messaggio di amore del Sommo e Buon Pastore, Cristo Gesù, nostra unica speranza e salvezza. Amen.

Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua Anno B (18 aprile 2021)

Impariamo ad essere testimoni credenti del Cristo Risorto

Il Vangelo di questa terza Domenica del tempo pasquale ci presenta un’ulteriore manifestazione di Gesù risorto ai suoi discepoli. Luca scrive che mentre i discepoli di Emmaus, che erano appena arrivati trafelati a Gerusalemme e stavano narrando «ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane […] Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”». Davanti all’apparizione del loro Maestro gli Undici, annota l’evangelista, restano «Sconvolti e pieni di paura» perché «credevano di vedere un fantasma». Perché questa reazione? Perché gli Undici ancora non credono a una reale presenza di Gesù quale risorto da morte, reale come quando camminava con loro sulle strade della Galilea e della Giudea, ma pensano di essere di fronte all’apparizione dello spirito di Gesù.

Ebbene, davanti a questo loro turbamento e davanti ai loro dubbi, Gesù mostra loro i segni del suo corpo glorioso; la sua è carne risorta da morte; non un cadavere rianimato né un semplice spirito; per questo egli dice: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi». In queste affermazioni è contenuto tutto il realismo della risurrezione.  

Però, racconta l’evangelista, «poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore»Gesù disse: «“Avete qui qualche cosa da mangiare?”. Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro». I discepoli ai quali si mostra il Risorto passano dalla paura allo stupore, ad una gioia ancora incredula, infine alla fede.

A questo punto il Risorto afferma: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Voi sarete testimoni! Ma che cos’è la testimonianza? È far vedere con la propria vita un mistero invisibile agli occhi di chi non crede. Questa è la nostra missione!

Come possiamo essere testimoni della risurrezione di Cristo? Nietzsche ha scritto: «Se Cristo è risorto, perché siete così tristi? Voi non avete il volto di persone redente!». Quanto è vero ciò che dice questo filosofo! Noi dovremmo essere persone allegre e invece siamo sempre tristi, imbronciati. Ma come acquistare il volto e soprattutto l’anima di persone redente? La strada è indicata dalle prime letture. Infatti san Pietro e san Giovanni parlano di pentimento dei peccati e di cambiamento della vita. Che c’entra tutto questo con la Risurrezione di Cristo?

Pensiamoci bene: per gustare la speranza, bisogna aver sentito qualche volta la disperazione; per apprezzare l’acqua, bisogna aver sete; per capire il valore della salute, bisogna ammalarsi…così per capire la Risurrezione di Cristo, bisogna conoscere le Sacre Scritture, scoprire Cristo, accogliere e apprezzare il dono della fede che diventa speranza, e riconoscersi peccatori. F. Dostoevskij nella celebre opera “I fratelli Karamazov”, dice che «il paradiso comincia solo nel momento in cui si ha il coraggio di riconoscere il proprio peccato».

E ancora Dostoevskij in un dialogo sull’ultimo giudizio, mette sulla bocca di Cristo queste parole sublimi: «Gli ultimi saranno i primi nel regno di Dio, perché nessuno di loro si è mai creduto degno di questo dono». Ciò significa che l’umiltà è la nostra verità: e nella verità si trova Dio e il grande dono di Dio, che è Cristo risorto.

L’umiltà allora è il nostro primo apostolato e la nostra prima testimonianza: perché ci permette di restare piccoli e quindi di non nascondere Cristo con il nostro orgoglio. E l’umiltà crea fraternità. I primi cristiani stupivano il mondo con la loro carità e la carità spingeva a cercare la causa del loro comportamento: spingeva verso Cristo risorto. Tertulliano, scrittore del terzo secolo, nel celebre “Apologetico” riferisce con commozione che i pagani, guardando i cristiani, esclamavano: «Guardate come si amano!». Noi oggi dovremmo strappare la stessa meraviglia nei confronti di coloro che sono lontani dalla fede.

Ebbene, «mettiamo l’orgoglio sotto i piedi» – esclamava il papa buono, san Giovanni XXIII – «e saremo liberi, sereni e fraterni: saremo creature che vivono e testimoniano la risurrezione di Cristo». Amen!

PREGHIERA A MARIA SANTISSIMA DELLA SPERANZA

Quadro di Maria Santissima della Speranza, che si venera nel santuario della Madonna della Speranza a Marigliano – Napoli

Maria Santissima della Speranza, infondi fiducia nei nostri cuori e intercedi per noi, tuoi figli, presso Cristo Gesù, nostra unica salvezza e speranza. Insegnaci ad amare e a sperare come tu hai amato e sperato. Sii tu la nostra ancora e guidaci durante il nostro pellegrinaggio terreno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Amen.
(Don Lucio)

PREGHIERA A MARIA

Ave Regina del cielo,
ave Porta del paradiso,
Tu doni al mondo
la speranza e la pace.

Tu sei la gloria dei santi,
Tu la gioia di tutti gli angeli,
donaci ali di speranza,
o Santa Madre del Redentore.

Santa Madre di Dio,
dolce Rifugio dei peccatori,
nelle tempeste della vita
Tu sei il nostro conforto.

Consolatrice amorosa,
nell’angoscia e nel dolore
Tu sei Madre di misericordia.
Volgi i tuoi occhi su noi,
tuoi figli, che a te ricorriamo.

Madre d’amore,
Tu sei salvezza per ogni uomo.
Tu sei colei che intercede
per noi presso Cristo Signore,
tuo Figlio e Salvatore nostro.

Madre piena di grazia,
con fiducia noi veniamo a te.
Prega per noi,
o dolce Vergine Maria,
adesso e nell’ora
della nostra morte. Amen.

(Don Lucio)

Commento al Vangelo della solennità della Pasqua di risurrezione Anno B (4 aprile 2021)

Cristo, nostra speranza, è la pace vera del mondo!

«Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede […] Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (cf 1Cor 15,14.19). Queste parole di Paolo esprimono bene qual è l’unico fondamento della fede cristiana: la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, «primogenito di quelli che risorgono dai morti» (cf Col 1,18), che oggi celebriamo nella Pasqua, festa delle feste, speranza di tutti gli uomini.

Nell’ora della morte di Gesù, presso la croce vi erano solo alcune donne e il discepolo amato (cf Gv 19,25-27), un pugno di persone che non riusciva a credere possibile la fine ignominiosa di quel rabbi e profeta di Nazaret da loro tanto amato. Al tramonto di quel 7 aprile dell’anno 30 si apre il sabato, giorno carico di un silenzio di paura e di angoscia: la morte sembra avere posto la parola fine sulla vicenda di Gesù. Ma ecco che all’alba del 9 aprile, non appena il riposo sabbatico è terminato, vi è ancora qualcuno che non si rassegna a questo esito fallimentare: Maria di Màgdala. Giovanni infatti scrive che «Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio».

Ma chi è Maria di Màgdala? Maria di Màgdala è colei che noi conosciamo come la Maddalena. Essa è una donna dal passato devastato, liberata da «sette demòni» (cf Lc 8,2) proprio grazie all’incontro con Gesù, che aveva significato per lei ristabilimento della comunicazione e inizio di una vita nuova; senza indugio essa aveva dunque incominciato a seguire Gesù quale discepola, fatto scandaloso perché contrario a tutte le consuetudini giudaiche… I vangeli non dicono altro su questa insolita sequela: sarà la tradizione a identificare la Maddalena con la prostituta che aveva lavato i piedi di Gesù con le proprie lacrime e li aveva asciugati con i suoi capelli (cf Lc 7,37-38), colei cui «sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato» (cf Lc 7,47).

Essa, annota l’evangelista, va al sepolcro. Il quarto vangelo tace sulle sue intenzioni ma, sicuramente, ella si reca nel luogo dove hanno deposto il Signore perché non riesce a rassegnarsi all’idea della scomparsa di colui che tanto aveva amato. Ed ecco, una novità sconvolgente la attende: Maria «vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro»! Immediata la sua reazione: «Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Parole che potevano apparire anche come allucinazioni (cf Lc 24,11), parole difficili da credere, eppure così cariche di amore da provocare un’altra corsa, quella di Pietro e del discepolo amato al sepolcro.

Dopo la corsa al sepolcro i due discepoli tornano a casa senza proferire parola (cf Gv 20,10). Pietro probabilmente, pur avendo visto il sudario e le bende, non ha compreso l’evento straordinario accaduto; ma per il discepolo amato le cose stanno diversamente: «entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette». Qui comprendiamo che la fede nasce dall’amore: solo l’amore per Gesù permette di comprendere in profondità la Scrittura e di saper discernere, a partire da un sepolcro vuoto, che Cristo è risorto.

Ecco la prima festa di Pasqua! L’annuncio gioioso di Maria e lo sguardo di fede del discepolo amato hanno attraversato i secoli. Ancora oggi risuona infatti quella parola che è lieto annunzio per l’umanità intera: «Dio ha risuscitato Gesù» (cf At 2,24), «la vita è più forte della morte» (cf Ct 8,6), «Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (cf 1Cor 15,55): queste affermazioni dovrebbero far riflettere noi cristiani, nella consapevolezza che ormai la morte non è più la parola definitiva, ma è solo l’esodo da questo mondo al Padre, che ci richiamerà tutti a vita eterna.

Ebbene, l’annuncio della Pasqua si espanda nel mondo con il gioioso canto dell’Alleluia. Cantiamolo con le labbra, cantiamolo soprattutto con il cuore e con la vita, con uno stile di vita semplice, umile, e fecondo di azioni buone. «Surrexit Christus spes mea: precedet vos in Galileam – Cristo mia speranza è risorto e vi precede in Galilea». Il Risorto ci precede e ci accompagna per le strade del mondo. È Lui la nostra speranza, è Lui la pace vera del mondo. Amen! Alleluia!

IL NEGOZIO DI DIO

Sulla via principale della città c’era un negozio originale: un’insegna luminosa diceva:
“IL NEGOZIO DI DIO”.

Un bambino entrò e vide un angelo dietro il banco, sugli scaffali c’erano grandi contenitori di tutti i colori.

“Che cosa si vende?” chiese incuriosito il bambino. “Ogni ben di Dio” rispose l’angelo. “Vedi, il contenitore giallo è pieno di sincerità, quello verde è pieno di speranza, in quello rosso c’è l’amore, in quello azzurro la fede, l’arancione contiene il perdono, il bianco la pace, il violetto il sacrificio e l’indaco la salvezza.”

“E quanto costa la merce?”
“Sono doni di Dio e i doni non costano niente!”

“Che bello!” rispose il bambino, “Allora dammi dieci quintali di fede, una tonnellata d’amore, un quintale di speranza, un barattolo di perdono e tutto il negozio di pace”.

L’angelo si mise a servire il bambino e in un attimo confezionò un pacchetto piccolo piccolo come il suo cuore.

“Eccoti servito!” disse l’angelo porgendo il pacchettino. “Ma come, così poco?” disse stupito il bambino.

“Certo, nella bottega di Dio non si vendono i frutti maturi, ma i piccoli semi da coltivare. Vai nel mondo e fai germogliare i doni che Dio ti ha dato.”

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